Dedicata a tutte le donne che subiscono violenza quotidianamente, in silenzio, perchè pensano di non avere alternative, o in nome dei figli. Uscite dal silenzio perchè avete dentro di voi tutta la forza per farlo, non siete sole, rivolgetevi ad un centro antiviolenza vicino a voi per riprendere in mano la vostra vita.
Lividi e Lacrime
Non
so da quante ore sono rannicchiata per terra. Mi alzo lentamente e mi
avvio verso il bagno.
Le gambe sono
indolenzite e sul fianco sento una stilettata, come se un pugnale mi
avesse colpito.
Mi avvio verso il
bagno e mi specchio, l’immagine riflessa è pietosa, il viso e
letteralmente disfatto.
Somiglio a una
maschera di clown, le lacrime hanno fatto scempio del trucco, il
mascara è colato, ma non doveva essere waterproof?
Le solite bugie
della pubblicità, di sicuro cambio marca! Forse è meglio che faccia
un bagno rilassante, magari con un olio essenziale, apro il rubinetto
e lascio riempire la vasca d’acqua calda in cui verso gocce di
lavanda, subito si sprigiona un delicato profumo che mi rincuora.
Lentamente mi spoglio lasciando cadere gli indumenti per terra, e
m’immergo nell’acqua.
Comincio a sentirmi
meglio.
Immergo la testa
sotto l’acqua, trattengo il respiro e conto un due, tre…dodici,
tredici…quanti secondi occorrono per sentire l’acqua che ti entra
dentro i polmoni, quanti minuti occorrono per morire annegata. Non lo
voglio sapere, non questa sera.
Si sono uno
straccio, ma la vita ha ancora un valore per me. Scaccio questo
pensiero triste e con la mente cerco di ripercorrere i momenti in cui
ho conosciuto mio marito.
Era il 18 marzo
festa del patrono, grande sagra in paese con vendita di frittelle,
banchi di caramelle, e le immancabili giostre. Con la mia amica
siamo sull’autoscontro, lui era lì, mi aveva colpito subito, i
capelli neri sparati all’insù, pieni di gel, gli occhi castani, la
barba incolta, la sigaretta tra le labbra.
Aveva un’aria
spavalda e sicura di sé, che mi aveva letteralmente travolto. Anche
lui mi aveva notato e mi aveva chiesto di uscire con lui la sera
stessa. Era arrivato in moto. Dio com’era bello e com’era
innamorato.
Passava tutti i
giorni a prendermi dalla parrucchiera dove facevo l’apprendista, mi
caricava in sella e poi rombando il motore partiva in gran velocità
e mi accompagnava a casa.Era dolce. Sì, allora lo era. Lui mi vuole
bene. Sono io che sbaglio. So che a lui non piace che io vada a
trovare mia madre, potrei evitarlo, invece non rispetto mai i suoi
desideri.
Vero, non gli piace
che vada a fare la spesa da sola, deve sempre accompagnarmi, che male
c’è? Questo è amore.Lui mi ama. Ne sono certa.
Vero, non ho il
bancomat, non mi ha mai concesso di averlo, spendo troppo e poi sono
distratta magari lo dimentico da qualche parte. Poi non lavoro,
quindi i soldi li deve gestire lui. Ha ragione. A volte mi trucco
troppo, lui ama il viso acqua e sapone, potrei evitarlo. Poi basta
con le minigonne, ho già ventotto anni è ora che copra le gambe.
Non sono una
ragazzina.
Ha ragione.
Sono una stupida,
sono proprio una stupida, lui lo sa bene.
A volte cedo alla
tentazione del trucco e della mini, ma non ho bisogno di questi
belletti, sono sposata. Gli uomini non devono guardarmi: io sono di
mio marito. Mia madre dice sempre che devo lasciarlo, che non mi fa
respirare, che devo vivere la mia vita, vestirmi e truccarmi come
voglio.
Lei, non può
capire, è una figlia dei fiori, gridava nelle piazze e non si è mai
sottomessa a mio padre. Lei non ha mai voluto che lo sposassi, era
contraria, anche perché aveva voluto che lasciassi il lavoro e per
lei questa era stata una premonizione:
“Con lui non sarai
mai felice”.
Aveva sentenziato.
Lei non conosce l’amore, quello che ti toglie il respiro, che ti fa
sentire unica, un corpo e un’anima con il tuo amato.
No, lei non è mai
stata amata in maniera così totale ed esclusiva. Mio marito dice che
lei è invidiosa della mia felicità, ed è per questo che devo
tagliare il cordone ombelicale che mi lega a lei. Fino a quando non
lo farò, la nostra vita sarà un inferno.
Ha ragione.
L’acqua della
vasca si è raffreddata, pertanto esco e prendo l’accappatoio per
asciugarmi. Mi dirigo verso la cucina e mi faccio un caffè, mentre
ingoio l’ennesima aspirina.
Guardo l’orologio
sono già le cinque, fra un po’ arriva, meglio che mi vesta non ama
trovarmi in disordine e la cena deve essere pronta per le sette in
punto.
Sono piccole inezie,
posso accontentarlo, non è un grande sacrificio, come pensano le mie
amiche che amano solo bighellonare nei centri commerciali o
spettegolare.
Mio marito dice
sempre:
“le donne devono
stare in casa a fare le pulizie, cucinare e scopare” !
Ha ragione.
Quando mi lascia i
lividi, lo fa per me, così mi ricordo di non sbagliare, di non
ripetere sempre gli stessi errori. Accidenti con tutti questi
pensieri mi è sfuggito l’orario. Adesso la cena non è pronta,
spero che mi perdoni, ho ancor i lividi di ieri sul corpo, mi fanno
male. La chiave sta girando nella serratura della porta, sono
impietrita, so già che mi prenderà a schiaffi.
“No, ti prego
basta, lo so non lo faccio più”.
Invoco con la mente.
Eccolo è entrato. Butta le chiavi sopra il mobile posto all’ingresso
e si dirige verso il bagno, neanche una parola. Sento che tira lo
sciacquone, e si avvia verso la cucina.
Sto sudando.
Sento già il suo
urlo: “Che cazzo hai fatto fino ad ora? Dove sei stata stupida oca
giuliva, neanche capace di preparare la cena ad un uomo che lavora
tutto il santo giorno sei capace”. Dalle labbra non esce nessun
suono, le parole si sono seccate nella gola.
Si avvicina, mi
sbatte contro il muro, sento il suo alito contro il mio, una mano è
stretta contro la gola e mi sussurra:
“Sei solo una
povera, stupida, inutile, donna, non vali nemmeno cinque lire”.
“Adesso vai in
cucina e mi prepari subito qualcosa” e mentre m’intima di farlo
mi sferra un calcio che mi fa cadere a terra, si mette a ridere.
“Non sei nemmeno
capace di stare in piedi”.
Rimani pure lì,
vado a mangiare da mia madre, stupida.
Stupida, è vero
sono stupida.
Stupida perché ti
giustifico sempre, stupida perché ho permesso che mi picchiassi,
stupida perché rimango qui.
Basta!
Vado in stanza da
letto e preparo velocemente la valigia.
Prendo solo poche
cose, non ho nulla da ricordare, niente foto, o souvenir non voglio
ricordare nulla.
Da oggi riprendo in
mano la mia vita.
Scendo le scale,
cantando.
Felice, come quando
ero una ragazzina, andrò da mia madre i primi tempi, poi cercherò
lavoro come e parrucchiera e andrò a vivere per conto mio…
I sogni di una nuova
vita s’interrompono sull’ultima rampa di scale.
Lui è tornato
indietro.
Mi fissa sbalordito.
“Che cazzo fai,
cosa sono quelle valigie, muovi il culo e torna indietro povera
stupida, dove credi di andare. Chi ti vuole con quel culo che sembra
un’anguria gigante!” Ride a crepapelle pronunciando quelle
parole.
Lo fisso, ho lo
sguardo annebbiato dalle lacrime.
Si, ma questa volta
sono lacrime di rabbia, non di paura. Non so come, ma sento dentro di
me una forza sconosciuta che mi penetra, scompaiono la paura e il
dolore.
Sono forte.
Gli sferrò un
calcio, lo manco, ma ormai il mio corpo è avvolto in una spirale di
forza, sferrò un altro calcio, questa volta lo colpisco, perde
l’equilibrio e cade all’indietro, batte la testa contro un
gradino.
Rimane, per alcuni
secondi, immobile, per terra, poi si alza, dolorante.
Mi metto a ridere,
forte sempre più forte, e lui diventa sempre più piccolo ai miei
occhi.
Non si muove. Sente
dolore alle gambe e alla testa. Lui il grande picchiatore, adesso è
fermo inebetito dal dolore e dalla sorpresa.
Gli passo davanti
con le valigie. Lo guardo e ridendo gli urlo:
“Sei solo uno
stupido non riesci nemmeno a stare in piedi”!
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