A tutte le donne che giorno dopo giorno subiscono violenza dai loro mariti, compagni, fidanzati o dai loro ex.
Le donne maltrattate non esistono soltanto il 25 novembre, loro piangono e soffrono in silenzio tutti i giorni.
Si parla tanto di loro in questi giorni celebrativi, ma poi finita la giornata cala il solito velo di silenzio sulle loro vite.
Ma loro esistono e chiedono aiuto sempre, cominciamo a cambiare il linguaggio soprattutto giornalistico, non trasformiamo le loro vite in talk show.
Aiutiamole in sinergia tra centri anti-violenza, forze di polizia e assistenti sociali.
Aiutiamole tutti i giorni ognuno di noi per le proprie possibilità.
Aiutiamole ad uscire dalla spirale della violenza, affinché anche loro possano tornare a sorridere.
Lividi e Lacrime
di
Ferlisi Maria Lucia
Non so da quante ore sono rannicchiata per terra. Mi alzo lentamente e mi avvio verso il bagno.
Le gambe sono indolenzite e sul fianco sento una stilettata, come se un pugnale mi avesse colpito.
Mi avvio verso il bagno e mi specchio, l’immagine riflessa è pietosa, il viso e letteralmente disfatto.
Somiglio a una maschera di clown, le lacrime hanno fatto scempio del trucco, il mascara è colato, ma non doveva essere waterproof?
Le solite bugie della pubblicità, di sicuro cambio marca! Forse è meglio che faccia un bagno rilassante, magari con un olio essenziale, apro il rubinetto e lascio riempire la vasca d’acqua calda in cui verso gocce di lavanda, subito si sprigiona un delicato profumo che mi rincuora. Lentamente mi spoglio lasciando cadere gli indumenti per terra, e m’immergo nell’acqua.
Comincio a sentirmi meglio.
Immergo la testa sotto l’acqua, trattengo il respiro e conto un due, tre…dodici, tredici…quanti secondi occorrono per sentire l’acqua che ti entra dentro i polmoni, quanti minuti occorrono per morire annegata. Non lo voglio sapere, non questa sera.
Si sono uno straccio, ma la vita ha ancora un valore per me. Scaccio questo pensiero triste e con la mente cerco di ripercorrere i momenti in cui ho conosciuto mio marito.
Era il 18 marzo festa del patrono, grande sagra in paese con vendita di frittelle, banchi di caramelle, e le immancabili giostre. Con la mia amica siamo sull’autoscontro, lui era lì, mi aveva colpito subito, i capelli neri sparati all’insù, pieni di gel, gli occhi castani, la barba incolta, la sigaretta tra le labbra.
Aveva un’aria spavalda e sicura di sé, che mi aveva letteralmente travolto. Anche lui mi aveva notato e mi aveva chiesto di uscire con lui la sera stessa. Era arrivato in moto. Dio com’era bello e com’era innamorato.
Passava tutti i giorni a prendermi dalla parrucchiera dove facevo l’apprendista, mi caricava in sella e poi rombando il motore partiva in gran velocità e mi accompagnava a casa.Era dolce. Sì, allora lo era. Lui mi vuole bene. Sono io che sbaglio. So che a lui non piace che io vada a trovare mia madre, potrei evitarlo, invece non rispetto mai i suoi desideri.
Vero, non gli piace che vada a fare la spesa da sola, deve sempre accompagnarmi, che male c’è? Questo è amore.Lui mi ama. Ne sono certa.
Vero, non ho il bancomat, non mi ha mai concesso di averlo, spendo troppo e poi sono distratta magari lo dimentico da qualche parte. Poi non lavoro, quindi i soldi li deve gestire lui. Ha ragione. A volte mi trucco troppo, lui ama il viso acqua e sapone, potrei evitarlo. Poi basta con le minigonne, ho già ventotto anni è ora che copra le gambe.
Non sono una ragazzina.
Ha ragione.
Sono una stupida, sono proprio una stupida, lui lo sa bene.
A volte cedo alla tentazione del trucco e della mini, ma non ho bisogno di questi belletti, sono sposata. Gli uomini non devono guardarmi: io sono di mio marito. Mia madre dice sempre che devo lasciarlo, che non mi fa respirare, che devo vivere la mia vita, vestirmi e truccarmi come voglio.
Lei, non può capire, è una figlia dei fiori, gridava nelle piazze e non si è mai sottomessa a mio padre. Lei non ha mai voluto che lo sposassi, era contraria, anche perché aveva voluto che lasciassi il lavoro e per lei questa era stata una premonizione:
“Con lui non sarai mai felice”.
Aveva sentenziato. Lei non conosce l’amore, quello che ti toglie il respiro, che ti fa sentire unica, un corpo e un’anima con il tuo amato.
No, lei non è mai stata amata in maniera così totale ed esclusiva. Mio marito dice che lei è invidiosa della mia felicità, ed è per questo che devo tagliare il cordone ombelicale che mi lega a lei. Fino a quando non lo farò, la nostra vita sarà un inferno.
Ha ragione.
L’acqua della vasca si è raffreddata, pertanto esco e prendo l’accappatoio per asciugarmi. Mi dirigo verso la cucina e mi faccio un caffè, mentre ingoio l’ennesima aspirina.
Guardo l’orologio sono già le cinque, fra un po’ arriva, meglio che mi vesta non ama trovarmi in disordine e la cena deve essere pronta per le sette in punto.
Sono piccole inezie, posso accontentarlo, non è un grande sacrificio, come pensano le mie amiche che amano solo bighellonare nei centri commerciali o spettegolare.
Mio marito dice sempre:
“le donne devono stare in casa a fare le pulizie, cucinare e scopare” !
Ha ragione.
Quando mi lascia i lividi, lo fa per me, così mi ricordo di non sbagliare, di non ripetere sempre gli stessi errori. Accidenti con tutti questi pensieri mi è sfuggito l’orario. Adesso la cena non è pronta, spero che mi perdoni, ho ancor i lividi di ieri sul corpo, mi fanno male. La chiave sta girando nella serratura della porta, sono impietrita, so già che mi prenderà a schiaffi.
“No, ti prego basta, lo so non lo faccio più”.
Invoco con la mente. Eccolo è entrato. Butta le chiavi sopra il mobile posto all’ingresso e si dirige verso il bagno, neanche una parola. Sento che tira lo sciacquone, e si avvia verso la cucina.
Sto sudando.
Sento già il suo urlo: “Che cazzo hai fatto fino ad ora? Dove sei stata stupida oca giuliva, neanche capace di preparare la cena ad un uomo che lavora tutto il santo giorno sei capace”. Dalle labbra non esce nessun suono, le parole si sono seccate nella gola.
Si avvicina, mi sbatte contro il muro, sento il suo alito contro il mio, una mano è stretta contro la gola e mi sussurra:
“Sei solo una povera, stupida, inutile, donna, non vali nemmeno cinque lire”.
“Adesso vai in cucina e mi prepari subito qualcosa” e mentre m’intima di farlo mi sferra un calcio che mi fa cadere a terra, si mette a ridere.
“Non sei nemmeno capace di stare in piedi”.
Rimani pure lì, vado a mangiare da mia madre, stupida.
Stupida, è vero sono stupida.
Stupida perché ti giustifico sempre, stupida perché ho permesso che mi picchiassi, stupida perché rimango qui.
Basta!
Vado in stanza da letto e preparo velocemente la valigia.
Prendo solo poche cose, non ho nulla da ricordare, niente foto, o souvenir non voglio ricordare nulla.
Da oggi riprendo in mano la mia vita.
Scendo le scale, cantando.
Felice, come quando ero una ragazzina, andrò da mia madre i primi tempi, poi cercherò lavoro come e parrucchiera e andrò a vivere per conto mio…
I sogni di una nuova vita s’interrompono sull’ultima rampa di scale.
Lui è tornato indietro.
Mi fissa sbalordito.
“Che cazzo fai, cosa sono quelle valigie, muovi il culo e torna indietro povera stupida, dove credi di andare. Chi ti vuole con quel culo che sembra un’anguria gigante!” Ride a crepapelle pronunciando quelle parole.
Lo fisso, ho lo sguardo annebbiato dalle lacrime.
Si, ma questa volta sono lacrime di rabbia, non di paura. Non so come, ma sento dentro di me una forza sconosciuta che mi penetra, scompaiono la paura e il dolore.
Sono forte.
Gli sferrò un calcio, lo manco, ma ormai il mio corpo è avvolto in una spirale di forza, sferrò un altro calcio, questa volta lo colpisco, perde l’equilibrio e cade all’indietro, batte la testa contro un gradino.
Rimane, per alcuni secondi, immobile, per terra, poi si alza, dolorante.
Mi metto a ridere, forte sempre più forte, e lui diventa sempre più piccolo ai miei occhi.
Non si muove. Sente dolore alle gambe e alla testa. Lui il grande picchiatore, adesso è fermo inebetito dal dolore e dalla sorpresa.
Gli passo davanti con le valigie. Lo guardo e ridendo gli urlo:
“Sei solo uno stupido non riesci nemmeno a stare in piedi”!