Il
male oscuro
di
Giuseppe
Berto
il
padre di Giuseppe Berto è gravemente ammalato è in procinto di
entrare in sala operatoria per capire ben le origini del suo male,
probabilmente un tumore. Il figlio parla con il primario, un noto
luminare, per chiedergli di risparmiargli ulteriori dolori, vista
anche l'età.
L'autore
non è arrivato da solo, è in compagnia di una vedova, francese, e
con lei dorme in una stanza d'albergo. Questo suscita ulteriore
dolore alle sorelle ed alla madre, oltre alle lacrime versate per il
marito le tocca aggiungerne altre per la spudoratezza con cui lui,
unico figlio maschio, li mette in una posizione di vergogna per una
convivenza senza matrimonio.
Nascono
in lui ulteriori dubbi e tormenti.
Si pente della richiesta fatta al medico, e lo prega, in un altro colloquio, di donargli ancora ulteriori anni di vita.
Affronta anche un viaggio a Venezia, in giornata, con la vedova francese, fatica a sopportarne la presenza, e se all'inizio trovava piacevole il sesso disinibito con lei, la sua presenza l'infastidisce.
Dopo Venezia, riprendono i tormenti dell'anima il padre potrebbe morire, e lui è lontano.
Decide di allontanarsi dalla donna francese, la lascia in albergo mentre lui riapre la casa paterna.
Si pente della richiesta fatta al medico, e lo prega, in un altro colloquio, di donargli ancora ulteriori anni di vita.
Affronta anche un viaggio a Venezia, in giornata, con la vedova francese, fatica a sopportarne la presenza, e se all'inizio trovava piacevole il sesso disinibito con lei, la sua presenza l'infastidisce.
Dopo Venezia, riprendono i tormenti dell'anima il padre potrebbe morire, e lui è lontano.
Decide di allontanarsi dalla donna francese, la lascia in albergo mentre lui riapre la casa paterna.
Il
padre non supera l'intervento. Lui non fa in tempo a vederlo morire, si reca alla camera mortuaria e inizia a scattare foto al padre in
un impeto inspiegabile.
Il
romanzo è il resoconto dettagliato della nevrosi che colpisce
l''autore Giuseppe Berto, alla morte del padre, scritto nel 1964,
dopo anni di inattività dalla scrittura in quanto la depressione
fortissima gli ha impedito di continuare a scrivere.
La
morte del padre è stata il crollo di una depressione che ha origini lontane, nella sua infanzia con un padre/padrone che lo allontana e
pur non essendo in condizioni economiche alte, lo mette in collegio.
Il ragazzo non può ritornare a casa per le vacanze di Natale o
Pasqua e le visite della famiglia, sorelle comprese, sono molto
esigue.
Non ha mai ricevuto amore da quel padre, mai una carezza, solo improperi e la certezza che sarebbe diventato soltanto un delinquente.
Rimorsi, odio, amore si intrecciano e scatenano emozioni forti, troppo forti per lui, che lo spingono in un baratro da cui uscirà con fatica e dopo anni di terapia.
Non ha mai ricevuto amore da quel padre, mai una carezza, solo improperi e la certezza che sarebbe diventato soltanto un delinquente.
Rimorsi, odio, amore si intrecciano e scatenano emozioni forti, troppo forti per lui, che lo spingono in un baratro da cui uscirà con fatica e dopo anni di terapia.
Lo
stille narrativo è quello che maggiormente mi ha ipnotizzato
durante la lettura, il flusso di coscienza, una scrittura in
cui il punto è omesso per parecchi periodi.
Questa scelta dell'autore è un abilissimo accorgimento per dare più risalto a quel disagio nevrotico e agli stati di ansia che assale e divora la mente di un malato mentale.
Questa scelta dell'autore è un abilissimo accorgimento per dare più risalto a quel disagio nevrotico e agli stati di ansia che assale e divora la mente di un malato mentale.
Scrive
come se fosse seduto dal psicoanalista, nel lettino, libero da
qualsiasi inibizioni o censure, le parole fluttuano una dietro
l'altra e il lettore viene avvolto in questa spirale liberatoria, e
rimane coinvolto provando le stesse emozioni, come un transfert tra
autore e lettore.
Leggendo
non troverete nomi, tutte le persone sono accompagnate da un
aggettivo, ma mai con il loro nome, l'amante è la vedova, le sorelle o la
madre e lo stesso padre non vengono mai chiamati per nome, il medico
è un luminare noto..., lasciando alla nostra psiche la libertà di
scegliere in nomi della nostra famiglia ed il transfert è stato
completato...
Un
romanzo che è un capolavoro per la grande tensione emotiva che sa
tessere con le parole.
Scheda
Autore:
Giuseppe Berto
Titolo:
Il male oscuro
Casa
Editrice: Neri pozza
Pagine:
508
Dal romanzo è stato tratto anche un film con la regia di Monicelli.
Dal romanzo è stato tratto anche un film con la regia di Monicelli.
Sinossi
Apparso
per la prima volta nel 1964, "Il male oscuro" ottenne
subito un grande successo, vincendo nello stesso anno il Premio
Viareggio e il Premio Campiello. L'apprezzamento critico che ne
segui, tuttavia, non colse forse pienamente la grandezza di
quest'opera e della figura di Giuseppe Berto nel panorama della
letteratura italiana del secondo Novecento.
Come sovente accade, questo romanzo e lo stesso Berto conoscono forse soltanto oggi quella che Benjamin definiva «l'ora della leggibilità». Comparato con le opere di quell'epoca caratterizzata da una società in piena espansione, "Il male oscuro", come nota Emanuele Trevi nello scritto che accompagna questa nuova edizione, appare come «lo specchio, frantumato ma straordinariamente nitido, di un intero mondo, di un'epoca storica», un capolavoro assoluto dotato di «un'autorevolezza paradossale, che si basa sulla travolgente energia degli stati d'animo».
Come i grandi libri, il romanzo presuppone una genealogia. Berto ha ammesso più volte il suo debito con "La coscienza di Zeno" di Svevo e "La cognizione del dolore" di Gadda, dalla quale ricavò il titolo stesso del suo libro. "Il male oscuro", tuttavia, segna una svolta fondamentale rispetto a queste opere precorritrici: non descrive semplicemente una nevrosi, ma la mima e la incarna. Il suo linguaggio è la manifestazione stessa del male, «l'epifania tragicomica della sua oscurità» (Trevi). Un'assoluta novità artistica e letteraria che Berto non esitò a battezzare «stile psicoanalitico».
Una prosa modernissima che, narrando di un male assolutamente personale, fa scorrere davanti ai nostri occhi «la Roma della Dolce Vita e di via Veneto, i medici e le loro contrastanti e fallaci diagnosi, l'industria del cinema con tutte le sue bassezze e le sue assurde viltà, la famiglia borghese e la sua economia domestica, i cambiamenti del costume sessuale, i rotocalchi a colori e le villeggiature in montagna»... la malattia di un'epoca apparentemente felice.
Come sovente accade, questo romanzo e lo stesso Berto conoscono forse soltanto oggi quella che Benjamin definiva «l'ora della leggibilità». Comparato con le opere di quell'epoca caratterizzata da una società in piena espansione, "Il male oscuro", come nota Emanuele Trevi nello scritto che accompagna questa nuova edizione, appare come «lo specchio, frantumato ma straordinariamente nitido, di un intero mondo, di un'epoca storica», un capolavoro assoluto dotato di «un'autorevolezza paradossale, che si basa sulla travolgente energia degli stati d'animo».
Come i grandi libri, il romanzo presuppone una genealogia. Berto ha ammesso più volte il suo debito con "La coscienza di Zeno" di Svevo e "La cognizione del dolore" di Gadda, dalla quale ricavò il titolo stesso del suo libro. "Il male oscuro", tuttavia, segna una svolta fondamentale rispetto a queste opere precorritrici: non descrive semplicemente una nevrosi, ma la mima e la incarna. Il suo linguaggio è la manifestazione stessa del male, «l'epifania tragicomica della sua oscurità» (Trevi). Un'assoluta novità artistica e letteraria che Berto non esitò a battezzare «stile psicoanalitico».
Una prosa modernissima che, narrando di un male assolutamente personale, fa scorrere davanti ai nostri occhi «la Roma della Dolce Vita e di via Veneto, i medici e le loro contrastanti e fallaci diagnosi, l'industria del cinema con tutte le sue bassezze e le sue assurde viltà, la famiglia borghese e la sua economia domestica, i cambiamenti del costume sessuale, i rotocalchi a colori e le villeggiature in montagna»... la malattia di un'epoca apparentemente felice.
Biografia
Giuseppe
Berto nasce a Mogliano Veneto il 27 dicembre 1914, secondo di cinque
figli, da un maresciallo dei carabinieri in congedo. Compiuti gli
studi liceali nel locale collegio dei Salesiani e nel Liceo di
Treviso, si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di
Padova, e studia con maestri quali Concetto Marchesi e Manara
Valgimigli.
Ben
presto parte volontario per l’Africa Orientale, partecipando alla
guerra di Abissinia, nel 1935, e combattendo come sottotenente in un
battaglione di truppe di colore si guadagna un paio di medaglie al
Valore Militare e qualche ferita. Tornato in patria, nel 1939,
riprende gli studi e si laurea abbastanza in fretta “anche per la
benevolenza di certi esaminatori che gradivano il fatto che si
presentava agli esami in divisa, ostentando le decorazioni al Valore
Militare”, come lui stesso racconta nel “Male oscuro”.
Dopo
la laurea insegna, prima Latino e Storia in un Istituto Magistrale,
poi Italiano e Storia in un Istituto Tecnico per Geometri, ma ben
presto lascia l'insegnamento e si arruola nella Milizia volontaria
per la Sicurezza Nazionale. Inviato a combattere in Africa
Settentrionale, dopo essere stato incorporato nel 6° Battaglione
Camicie Nere "M", i fedelissimi di Mussolini, cade
prigioniero il 13 maggio 1943 degli americani. E’ proprio durante
la prigionia nel campo di internati in Texas che Berto inizia a
scrivere. Ha come compagni di prigionia Dante Troisi, Gaetano Tumiati
e Alberto Burri, che lo incoraggiano a scrivere nella rivista
"Argomenti". Lì compone “Le opere di Dio” e “Il
cielo è rosso”; quest’ultimo romanzo, pubblicato da Longanesi
nel 1947, su segnalazione di Giovanni Comisso, diviene rapidamente un
successo internazionale dopo aver vinto nel 1948 il Premio Firenze.
Escono, poi, nel 1948 “Le opere di Dio”, e nel 1951 “Il
brigante”.
Trasferitosi
a Roma, comincia a lavorare per il cinema: in questo periodo escono
nel 1955 “Guerra in camicia nera” e nel 1963 il volume di
racconti “Un po’ di successo”.
Berto
nel 1958 cade in una grave forma di nevrosi, ne uscirà dopo tre anni
di analisi quando compone “Il male oscuro”, che vince
contemporaneamente nel 1964 il Premio Viareggio e il Premio
Campiello. Si aggiungono poi il dramma “L’uomo e la sua morte”
(1963), “La Fantarca” (1964), e il romanzo “La cosa buffa”
(1966). Nel 1971 scrive il pamphlet “Modesta proposta per
prevenire” e il lavoro teatrale “Anonimo Veneziano”,
ripubblicato come romanzo nel 1976. Con la favola ecologica “Oh,
Serafina!” vince nel 1974 il Premio Bancarella. Dal dramma “La
passione secondo noi stessi”, Berto matura l’idea portante del
suo ultimo libro “La gloria” del 1978.
Si
spegne a Roma il 1 novembre 1978. E’ sepolto a Capo Vaticano.
Pubblicate,
postume, le seguenti opere: “Colloqui col cane” edito da Marsilio
nel 1986; sempre della Marsilio “La colonna Feletti. Racconti di
guerra e prigionia” usciti nel 1987; del 2003 “Il mare dove
nascono i miti” edito da Monteleone e, pubblicata dalla medesima
casa editrice, la raccolta di scritti dal titolo “Giuseppe Berto –
Critiche cinematografiche 1957-1958”, volume in cui sono riunite le
recensioni cinematografiche di Berto di quegli anni. La
pubblicazione, a cura di Manuela Berto, è stata presentata nel 2005
in occasione della XVII edizione del Premio Berto.
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