Io e Mabel ovvero l'arte della falconeria
Helen Macdonald
recensione di
Maria Lucia Ferlisi
Il
padre di Helen, celebre fotografo del National Geographic, è morto,
improvvisamente, d'infarto. È un duro colpo. La morte è sempre
difficile d'accettare ma la mancanza di un padre è destabilizzante.
Helen, autrice e protagonista del romanzo non sa come affrontare il
lutto, ha un lavoro instabile, non ha una relazione, nulla e nessuno
che possa aiutarla a superare questo triste momento si rifugia anche
in una breve storia d'amore, ma è solo un piccolo tamponamento ad
una vita che ha perso senso. Si allontana da tutto e da tutti. Si
allontana da Lo0ndra, dalla madre e dal fratello.
" Dopo la morte di mio padre Londra mi sembrava un posto spettrale, esangue e corrosivo, oppresso da valanghe di nubi."
Si
allontana dalla vita cittadina e si rifugia nei boschi, immersa nella
natura, negli alberi e nel silenzio.
"Non esiste dolore in terra che la terra non possa guarire"
Decide
di comprare un rapace ed addestrarlo, compra un astore, rapace
predatore sanguinario, che chiamerà Mabel.
Si
rifugia in casa con lei e vive per mesi rinchiusa per addestrarla al
meglio. I suoi pensieri si concentrano sull'addestramento del rapace,
ma questo la porta ad addentrarsi ancora di più nella solitudine.
Una depressione che prende una direzione derivante, la relazione
ossessiva con il rapace la esclude da ogni rapporto umano. Ci sono
solo le e Mabel. Nessun 'altro.
"Ed è allora, seduta al bar davanti ad un caffè ormai freddo, che per la prima volta penso seriamente a ciò che sto facendo. A ciò che intendo fare con l'Astore. Uccidere cose . Produrre morte."
Nella
figura del rapace cerca la figura del padre come quando era piccola e
suo padre la portava nei boschi.
" Con quell'astore volevo andare in cerca di mio padre, volevo andare a cercarlo e riportarlo a casa."
Passa
mesi immersa nella natura selvaggia cercando di far riaffiorare i
ricordi di quando con suo padre andava per boschi, in mezzo alla
natura, Ma riemergono solo ricordi, il padre non ritorna. Lei è
sola, sola con Mabel.
"La natura con i suoi boschi verdi e tranquilli allevia e guarisce ogni afflizione".
Il
suo rapporto con Mabel la stacca da tutti gli amici, vive con il
rapace una perfetta simbiosi, vive nello sporco, non ha più cura del
suo corpo, il suo unico obiettivo è insegnare a cacciare al suo
Astore.
" Cacciare con l'Astore mi portò al limite della mia umanità."
La
sua vita è ormai al limite, ma durante la celebrazione della
commemorazione del padre, ad un anno dalla morte, scopre l'affetto
degli ex colleghi verso il padre, la rincuora e mette in subbuglio il
suo cuore.
L'autrice
in questo romanzo affronta il tema della rielaborazione del lutto, lo
fa attraverso al sua storia personale, ma non aspettatevi un romanzo
autobiografico.
Descrive
il dolore e le varie fasi dell'autodistruzione e della rinascita in modo
particolareggiato e corale. Il suo dolore è il dolore di ognuno di
noi quando ha subito una perdita importante.
Per Helen suo padre era
il suo mondo, il suo genitore, il suo amico, il suo professore.
Condividevano le stesse passioni e per questo la perdita è ancora
più dolorosa. Il rapporto ossessivo è descritto nei minimi
dettagli, con una scrittura perfetta, analitica che ti sembra di
essere lacerata mentre leggi le sue parole.
L'istruzione del rapace è
descritta in modo particolareggiata ed anche se non si ama la
falconeria, ne rimane stregato. Nell'istruzione di Mabel l'autrice
si avvale di un testo " The goshawk" di T. H. White che
sarà fondamentale nell'addestramento di Mabel. Un libro il cui
autore è simile ad Helen , anche lui amante del vivere selvatico ed
isolato. Un libro nel libro.
Sa
condurre la narrazione Helen, sa come affascinare il lettore.
Lo
incanta con questa antica arte, tradizione dei secoli scorsi.
Lo
incanta quando descrive i boschi e la natura selvaggia che circonda i
luoghi dove vive in assoluto silenzio con Mabel.
Lo incanta con
questa sublimazione ossessiva del suo rapporto con Mabel, una quasi
fusione tra i due esserei, una vita in simbiosi.
Lo incanta per la
bravura con cui sa trasmettere la perdita, il dolore, la depressione e infine la rinascita con il raggiungimento di nuove certezze e
consapevolezze.
Un libro di dolore ma anche di speranza.
Un romanzo che
si avvale della bellezza della natura anglosassone e del verde dei
sottoboschi.
L'autrice ha una scrittura potente, forte, che cattura
ed incanta. Una storia autobiografia la cui forza narrativa porta
alla coralità dei sentimenti che lei ha provato.
La sua scrittura, nitida, chiara, cruda, rende il
dramma della rielaborazione del lutto autenticamente e dolorosamente angosciante.
Un libro che sa regalare emozione anche attraverso un
linguaggio ed immagini dure. Un romanzo che sconvolge per la
particolareggiata scrittura di tutti gli stati d'animo.
Un
romanzo che sa essere universale.
Sinossi
Nelle prime pagine del libro Helen Macdonald riceve una telefonata: il padre, celebre fotoreporter, è morto all'improvviso d'infarto. Priva di legami e di un lavoro stabile (è ricercatrice associata part-time all'università di Cambridge), Helen si accorge bruscamente di non avere nulla che possa distrarla dal lutto e sprofonda in una violenta depressione. Passano i mesi: instaura una relazione sentimentale e poi la sabota, legge testi sul lutto, si isola, si trascina.
Poi, d'improvviso, un sogno ricorrente sui falchi fa scattare in lei una sorta di epifania: per uscire dal gorgo che la soffoca addestrerà un falco, ma non un falco qualsiasi, piuttosto un astore, uno dei piú grossi e feroci rapaci che esistano, un animale del sottobosco, sanguinario e predatore. Cosí entra in scena Mabel, «un rettile. Un angelo caduto. Un grifone uscito dalle pagine miniate di un bestiario».
Helen si ritira dalla comunità per dedicarsi esclusivamente all'addestramento dell'animale, in un isolamento ossessivo. Il racconto dell'addestramento, dell'osservazione del comportamento della giovane Mabel, della paura, della fascinazione e della strana tenerezza che prova per l'animale, s'intreccia con la rilettura del libro The Goshawk di T. H. White e quindi con la rievocazione della biografia di questo scrittore, autore tra le altre cose di un libro su Artú poi ripreso dalla Disney inLa spada nella roccia.
Mentre segue il suo astore che caccia, Helen si accorge con sgomento della propria metamorfosi in puro istinto, della propria trasformazione progressiva in qualcosa di selvatico. Scopre, a mano a mano, la natura selvaggia del lutto stesso e del fatto di esservi immersa al punto da perdere la propria identità umana nel tentativo di diventare distaccata e invulnerabile come il suo astore. La sua identificazione con il rapace che uccide fagiani e conigli, ma anche con le vittime di quella ferinità, rappresenta una contraddizione talmente faticosa che rompe in qualche modo il sortilegio perverso che si era tirata addosso.
A poco a poco Helen comprende che «le mani umane sono fatte per tenere altre mani», non solo per indossare un guantone e portare un falco. Capisce il suo bisogno di comunità, l'idiozia dell'isolamento esasperato e in qualche modo comincia a rientrare nella società, anche accettando di curare la sua depressione. Cosí Mabel smette di essere forzatamente un simbolo e il suo falconiere può finalmente permettersi di guardare (e rispettare) l'animale per quello che è. E tornare alla vita.
Scheda Libro
Autore: Helen Macdonald
Titolo: Io e Mabel: ovvero l'arte della falconeria
Casa Editrice: Einaudi
Pagine: 292
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