Esitate in Love
di
Emma Scacco
Carissimi lettori vi presento il secondo libro della serie SlidingLove di Emma Scacco.
Un romanzo rosa che vi appassionerà e terrà compagnia in questi primi giorni caldi per l'imminente arrivo dell'Estate.
Un romanzo rosa che vi appassionerà e terrà compagnia in questi primi giorni caldi per l'imminente arrivo dell'Estate.
Buona lettura.
Quarta di copertina
Vivi rispettando le tradizioni rispettando le regole rispettando solo te stesso
Senti il richiamo della terra del cuore dell'amicizia
Salta nell'amore nella passione nella vita.
Sinossi
Dopo la partenza di Greta per alcuni a Copperas Cove la vita sembra essersi sospesa in un limbo, nel quale non si va avanti né indietro. Purtroppo però il ranch McLoad dovrà scontrarsi con la dura realtà: la banca vuole riscuotere il suo credito e la tecnologia, nuovo nemico silente, avanza. Un avversario oscuro incrinerà nuovamente le sorti della tenuta e di tutti coloro che ci abitano.
In un intreccio di incontri, amori, paure e rinascite riusciranno Steve e Arianna a salvare il ranch e a vivere, finalmente, il loro amore?
Biografia
Emma Scacco è uno pseudonimo di una aspirante scrittrice di amore e cavalli, come ama definirsi. Nata nella pianura emiliana, amante della vita all'aria aperta da sempre passa l'adolescenza tra campi di gara di salto ostacoli, completo e dressage. Verso i vent’anni scopre la bellezza della monta western e, dopo la laurea, si cimenta con una delle sue migliori amiche nell'avventura di aprire un maneggio tra la provincia di Modena e Reggio Emilia.
Dopo anni passati tra i cavalli, per amore della famiglia si trasferisce in Toscana, abbandonando le arene e cominciando a scrivere.9
Estratto:
PROLOGO
Steve
La necessità di questo bacio sfonda ogni mio tentennamento. È la prima volta che mi perdo così tanto in lei da non discernere la ragione dal sentimento. E il secondo ha la meglio. Si sono sfidati come due vecchi cowboy, duellando una di fronte all’altro, in canna un solo colpo, una lotta alla pari e regolare, tra la polvere di quello che è rimasto di me, dopo questa estate devastante. Un solo proiettile esploso, solo uno dei due sfidanti è rimasto a terra.
La ragione… R.I.P.
E il sentimento, libero di bruciare di se stesso, fa tabula rasa di tutto, come una mandria di cavalli selvaggi che invade la prateria del mio essere.
Non posso fermarmi, non ho più nulla con cui contrastarlo. Perciò affondo in questo bacio che ha il sapore d’amore e necessità, le mie mani sfiorano il suo corpo e lasciano le sue libere di vagare sul mio, conquistando cellula dopo cellula.
Odore di fieno e di lei riempie le mie narici, i miei occhi strabordano della bellezza del suo corpo color latte, sul seno algido svettano i capezzoli turgidi e scuri, solo vederli è un richiamo a saggiarne il gusto, come una tazza di panna e fragole dopo un afoso pomeriggio di lavoro.
Lei è il gusto della mia estate, del mio inverno, di tutti gli autunno e le primavere che verranno.
«Steve», sussurra, mordendosi le labbra rosse e gonfie, buttando la testa indietro e facendo ricadere i suoi capelli rossi che, non volendo, si mischiano al colore del fieno, come se questo granaio stesse bruciando, non solo di passione.
Il mio nome che esce dalle sue labbra è ciò che di più sublime si possa sentire.
La sovrasto con il mio corpo. Le sue lunghe gambe bianche si allacciano alla mia vita, supplicandomi di darle di più.
Ha già tutto di me: il mio amore incondizionato, la mia fiducia, il mio rispetto. Tutto.
Potrebbe schiacciarmi con un solo gesto, ma il mio cuore malandato sa che non lo farebbe mai, lo vedo scritto nei suoi luminosi occhi azzurri, liquidi di passione. Nessuna donna mi ha mai guardato così, nessuna di quelle che ho avuto mi ha dato tanto, senza concedermi il proprio corpo. Lei quello non l’ha mai donato a nessuno e ora freme perché la faccia mia, per unirci in qualcosa di unico e nuovo per entrambi.
Mi blocco.
Porco cazzo! Questo non è il solito sogno ad occhi aperti o chiusi. È la realtà…
Lei è sotto di me, nuda, i suoi fianchi continuano a brandire i miei, mentre mi sollevo come ustionato, lanciandole i vestiti che ci eravamo strappati a vicenda.
Il suo sguardo sgomento mi ferisce come un coltello conficcato all’altezza del pett
o.
Mi rivesto, scappando come una lepre inseguita dal coyote. Non posso farle questo, non sono la persona giusta. Lei è così pura e io sono macchiato per sempre.
Non perché sia vergine e minorenne, sarei disposto all’inferno per lei, la prigione è minaccia da poco, è per quello che ho fatto e sono stato.
Il passato rimarrà per sempre: l’adolescenza violenta, la ricerca del piacere che riempisse i buchi neri della mia anima, la droga, le donne, i soldi e il sesso.
E non posso macchiare anche lei.
Arianna
«Se esci da quella porta, non azzardarti a tornare.»
Il freddo che avverto sulla pelle ora che Steve sta fuggendo come un ladro, non è nulla rispetto al gelo che mi pervade le pareti delle vene quando realizzo che mi sta allontanando per l’ennesima volta.
L’ho inseguito tutta l’estate. L’ho accompagnato con pazienza, prendendo ciò che lui centellinava, senza mai pretendere nulla, ma non posso fare finta di non sentire questo desiderio che non è solo dettato dalla carne: la mia anima richiede di unirsi alla sua, perché lo amo.
Mi copro con i vestiti che mi sono stati lanciati addosso ancora appallottolati, come li ha recuperati da terra, mentre a grandi passi si allontanava da me, da noi, per l’ultima volta.
Sono nuda, ma non è questo a farmi sentire esposta, è invece la consapevolezza che lo strappo non potrà essere più ricucito. Tremo, un fremito mi attraversa, ma le parole escono decise e scandite e raggiungono il ragazzo come una freccia.
«N-non posso», biascica. I suoi occhi, che prima mi avvolgevano, ora sono distanti e colpevoli, di cosa ancora non so, non mi è dato sapere.
Esita… Lo vedo; è un istante che istiga la mia speranza. Si disintegra però con il passo che gli permette di superare la soglia del granaio e lasciarmi sola.
È un attimo lungo una vita e doloroso come se mi pestasse il cuore con un tacco a spillo. Non è bastato quello che ci ha legati in questi mesi a farlo rimanere con me.
Non ho mai saputo cosa si provasse a regalare qualcosa a qualcuno che ami e vedere la delusione sul suo viso, fino a oggi.
Steve ha adorato il mio corpo, finché è diventato così reale da spezzare il sogno nel quale ero caduta. Mi ha fatto sdraiare sul fieno per accoglierlo, sarei stata anche su un letto di braci ardenti per riuscire a diventare sua, per fonderci. Ma tutto questo non è stato un regalo ben accetto.
Stavo per donargli tutta me stessa, evidentemente non sono abbastanza.
Ripudiata, ancora prima di essere amata. Il fardello di quello che sono pesa come un macigno, un’eredità scomoda, un ricordo indelebile.
Eravamo una cosa sola, sento ancora il suo profumo sulla pelle e mi rivesto umiliata e affranta, mentre i capelli mi si appiccicano al viso rigato di lacrime.
Ogni passo verso casa è faticoso come se trasportassi la delusione sulle spalle e non nell’animo. Il portico sembra deserto e di questo sono intimamente grata, non avrei sopportato di incrociare gli occhi spenti di Luke.
Da quando nonna ci ha lasciato, il colore azzurro delle sue iridi vira al grigio, come se il cielo nel suo sguardo contenesse solo pesanti nuvoloni pieni di pioggia. Gli stessi occhi con i quali l’ha ammirata adorante per quasi cinquant’anni, ora hanno perso la luce.
Mi guardo intorno.
La prateria mi ha sempre risollevato il morale, osservare la vita del bestiame, che procede placida, mi rammenta quanto tutto sia effimero, ma, mentre cerco la pace per sanare la mia ferita, vedo la sagoma di mio fratello, Jonathan, seduto sulla vicina staccionata intento a studiare la cavalla Palomina.
Colei che ha unito Jonathan al suo grande amore: Greta.
Si sono avvicinati per permetterle di realizzare il sogno di salvare il ranch del padre, Michael MacLoad. Si sono avvicinati abbastanza da azzerare l’odio che si era intromesso tra la nostra famiglia e la sua. Quel sogno però è costato caro a tutti.
Lei se n’è andata, è tornata a Londra da sua madre, sua nonna e la sua vita a metà. Prima di partire si è dimenticata di noi a causa del furto dei suoi cavalli architettato da mio padre, durante il quale ha perso la memoria. Lui voleva il ranch per sé, perché gli ricordava la sua amata, la sorella di Michael, morta a causa di un incidente a cavallo. Per l’amicizia che legava i due, mio padre non è finito in galera, è ancora qui con noi. Michael non l’ha denunciato, eppure io non so se potrò mai perdonarlo del tutto. [M1]
Com’è strana la vita.
Io ho appena distrutto ogni frammento che potesse, in qualche modo, ricordarmi dell’esistenza di Steve, del suo passaggio sulla mia strada.
Vorrei cancellare anche i ricordi, se solo potessi, mentre Jonathan si crogiola nel dolore di quello che poteva essere ogni singolo giorno. Ha persino acquistato la cavalla per una cifra assurda e passa ogni minuto libero a osservarla, come se la sua presenza gli riportasse indietro lei.
Sono sicura che l’ha amata. Non come Tiffany, lei lo faceva stare comodo e lui si era abituato alla situazione. No, Greta lo metteva sempre in difficoltà, lo obbligava a essere migliore, ma dopo che ha perso la memoria, tutto è cambiato.
Hanno lottato spalla a spalla per salvare il ranch, ma ora è tutto sfumato e lui passa ore a quel recinto, appoggiato alle assi di legno senza fare un passo o dire una parola.
«Perché non vai da lei?» urlo, facendo volare lo storno appollaiato sul filo della corrente.
Persino Palomina alza la testa nella mia direzione. Non ha paura. Quel cavallo ha carattere da vendere, un po’ come la sua proprietaria che è volata dall’altra parte dell’oceano per tornare a una vita che non le appartiene.
Come mi manca. Lo so che manca anche a lui, anche se finge di non aver sentito. Non vuole affrontare la realtà, quindi fa come gli struzzi e mette la testa nella sabbia.
«Perché non vai da lei?» ripeto, avvicinandomi.
«Voglio che si abitui alla mia presenza», risponde con rassegnazione.
«Non parlavo del cavallo», lo sfido.
La felicità è a un passo e nessuno ha le palle per azzerare la distanza.
«Lo sai benissimo, c’è bisogno di me qui.»
Già questa è la sua scusa. Chissà quale sarà quella di Steve. Poco mi importa, non voglio sentire né l’una né l’altra, sono stanca di questi cowboy che non hanno il coraggio di vivere, sanno solo sbattere i tacchi e fare tintinnare gli speroni sulla terra.
«Sei solo un fottuto vigliacco, ma tranquillo, sei in ottima compagnia.»
Si volta indignato nella mia direzione. Non ho mai visto quello sguardo che ora mi sta riservando, ma non desisto.
«Non puoi capire.»
Alzo il mento.
«Pagliaccio.»
L’ho chiamato così solo quando ha lasciato che Greta andasse in ospedale da sola dopo il furto.
Ora sono io che lo scruto con disprezzo. Paga un prezzo alto anche per qualcuno che non è qui.
Me ne vado. Mentre attraverso il portico mi chiama a gran voce. Non mi volto e non rispondo.
La brava e obbediente Arianna è morta oggi, sepolta dalla paura che hanno altri di vivere.
Jolene
«La mia bambina!»
Così esordisce l’uomo intrigante sui sessant’anni, avvolto in un abito di sartoria che sta a pennello sul suo fisico ancora tonico, alzandosi dalla sedia del ristorante nel quale mi ha dato appuntamento. Mi rifletto in un paio di occhi scuri, identici ai miei, mentre lui sfoggia il suo sorriso affilato.
C’è stato un periodo in cui ho creduto davvero che quelle parole fossero dette con affetto sincero. Ho smesso di crederlo, però, prima di imparare a scrivere. Ci sono cose che non ti insegnano a scuola.
Sorrido, per lasciarlo nell’illusione di esercitare ancora potere su di me, ma non per amore.
Non più. Mai più.
«Papà, che bello vederti, come sta la mamma?»
Fingo un entusiasmo che non mi appartiene. È qui perché vuole qualcosa e sono certa non ci metterà molto a mettere in tavola le carte che vorrà farmi vedere. Le vincenti le terrà nascoste come il più abile dei croupier.
«Le manchi da morire», esagera.
Immagino. Mia madre è una di quelle donne che bastano a se stesse, anzi a volte è di troppo anche da sola, visto com’è spropositato il suo ego.
«Ma fatti vedere! Sei stupenda. So che gli studi vanno a gonfie vele, siamo orgogliosi di te.»
Lusinghe. Deve aver proprio necessità.
«Non mi lamento», cerco di non dare troppo peso alle sue parole, ma è difficile quando da una vita aspetti un po’ di considerazione.
«Non fare la modesta con il tuo paparino…» Appoggia la mano sulla mia e stringe in un gesto di affetto che trovo forzato e fuori luogo.
«Pierre, sappiamo entrambi per cosa siamo qui, quindi, per favore, non tirarla troppo per le lunghe.» La mia voce esce scandita e tagliente e affetta il sorriso finto sulle labbra carnose di mio padre. Vorrei non assomigliargli, invece, siamo identici e non solo per l’aspetto fisico.
«La famiglia ha bisogno di te», taglia corto.
Deve essere grave e godo di poter avere per una volta il coltello dalla parte del manico o almeno è quello che mi lascia credere. Ho capito tempo fa di non avere scelta: lui manipola la vita di tutti in modo più o meno velato e ti trovi costretto a fare quello che chiede, non per amore e neppure per rispetto, solo perché non hai altra scelta.
«Se mi rifiutassi…»
Il suo sguardo mi ghiaccia e finalmente lo vedo Requin, lo squalo, come da bambini ci divertivamo a definirlo io e i miei fratelli: il sorriso tagliente di chi sa di poterti mangiare in un sol boccone.
«Sei un’adulta», soppesa, «ma non sei una stupida. Certo non posso obbligarti.»
Bugiardo!
Può eccome. E non solo può, non è neppure così intelligente da mostrare un minimo di rispetto o apprezzamento.
Questa farsa offende la mia intelligenza. Dovrebbe darmi ciò che merito per il mio lavoro, invece sarebbe capace di tagliarmi i viveri e questo farebbe di me la collegiale più squattrinata di Boston, niente più feste, vestiti e locali cool.
«Puoi ricattarmi, però.» Stringo gli occhi, sfidandolo.
«Mai detto questo, se non vuoi aiutare la tua famiglia, sei libera di lavartene le mani, del resto i tuoi fratelli sono già stati chiamati.» E saranno accorsi, penso con un pizzico di astio e sarcasmo.
Dopo quanto successo l’anno scorso mi sorprende come mio padre abbia perdonato mio fratello, giusto in tempo per avere bisogno del nostro appoggio.
Mi sistemo sulla sedia al suo fianco, mentre ordina per entrambi un piatto che non ho intenzione di mangiare: lui può controllare quasi tutto di me… Quasi.
Quello che non può controllare è ciò che mi tolgo dal piatto, ciò che limito da sola, quello lo posso decidere solo io. In questo lui non ha voce in capitolo.
«Cosa dovremmo fare?» Non ho neppure provato a ribellarmi, sarebbe stato inutile e sciocco.
«L’azienda vuole arrivare alle distese del Texas e innestare un metodo di lavoro come quello già utilizzato in Australia. Le grandi case verranno sistemate e vendute a personaggi di spicco, lasciando il bestiame gestito dai mezzi meccanici. Non vi viene chiesto niente di più che quello che avete già fatto» spiega.
Due anni fa la sua azienda ha conquistato l’Australia approfittando della crisi agricola, costringendo i contadini e gli allevatori a svendere le loro proprietà grazie a una fitta rete di contatti forniti proprio da noi, i suoi figli. Abbiamo aggirato il sistema, facendo aprire gli occhi ai figli di quei contadinotti sulle prospettive della tecnologia e soprattutto sull’agio della vita in città. Quando la gioventù si è schierata per la vendita delle proprietà, nonni e genitori sono capitolati.
«Dove stavolta?» soppeso annoiata. Dovrò mettere di nuovo la mia vita in stand-by, frequentare gente di cui non mi frega un accidenti, fingermi accomodante, trovare colui che viene considerato il leader della comunità e convincerlo utilizzando tutti i modi.
Spencer ancora stolkerizza i miei social e ho dovuto bloccarlo un po’ dappertutto. Aveva creduto che mi fossi invaghita di lui al punto che avrei abbandonato gli studi, mi sarei messa gli stivali ai piedi e avrei cucinato e sfornato stufati e figli.
Quanto possono essere stupidi gli uomini?
Devo ammettere che ho imparato a manipolare la gente da qualcuno di davvero bravo, è di fronte a me, lusinga e schernisce con lo stesso tono.
«Sei saggia.»
«Non ho scelta, ma sappi che è l’ultima volta.»
«L’ultima volta per quest’anno.» Ridacchia, affondando la forchetta nel pezzo di carne che ha nel piatto, mentre io sposto l’insalata nel mio e fingo di sorridere alla sua battuta.
Non mi interessa ciò che pensa, prima o poi sarò davvero libera.
«Ti aspetto a Copperas Cove tra una settimana», mi saluta, mostrando il suo miglior sorriso e porgendo la sua carta oro alla cameriera per pagare il conto di quello che io non ho neppure sfiorato. Lui lo sa, io lo so, fingiamo che vada bene così. A lui non interessa, a me neppure.
Di qualcosa devo avere il controllo. Almeno di questa cosa.