Il giorno della memoria

Carissime amiche ed amici del blog
come tanti, voglio ricordare il giorno della memoria con un post di qualche anno fa.

Un giorno della memoria ancora più tristi, perché abbiamo la consapevolezza che la storia non insegna nulla.Ancora una volta il vento dell'odio sta scivolando dentro i cuori di molti, il razzismo, lo sprezzo, ne sono testimoni i tanti episodi in tutto il mondo in cui si alzano muri per "difendere" un territorio che dovrebbe essere luogo di accoglienza, come i nostri avi hanno avuto.

Muri, barriere, diritti negati e morti, tanti,  nell'indifferenza di molti. Ho paura di questo clima, non mi piace.
Mi chiedo  perché l'uomo sente questo bisogno di odiare, come se fosse una parte del DNA.
Mi chiedo perché non siamo in grado di accogliere ed ascoltare.
Mi chiedo perché lasciamo morire persone...
Non trovo risposte e questo mi spaventa... La banalità del male è sempre in agguato... 





Alcuni anni fa sono andata a visitare il campo di concentramento di Auschwitz. Quando varchi i cancelli senti i brividi che ti percorrono la schiena, con quella scritta: "Il lavoro rende liberi".... liberi di morire. Ho percorso le strade che portano ai campi, ai forni crematori, in completo silenzio, come un silente omaggio a tutte le vittime che hanno perso la vita in questo luogo macabro. 
In alcuni angoli si erano formati gruppi di preghiera autonomi, mi sono aggregata ed ho pregato con loro, non ho capito la loro lingua, ma sentivo il bisogno di farlo. Ciò che mi ha sconvolto di più in questa visita di memoria, non sono stati i forni crematori ne le migliaia di foto appese lungo i corridoi, ma le enormi vetrine dove erano esposti gli oggetti personali di tutte le persone che sono state trucidate all'interno del campo. 
La teca delle valigie, di tutte le dimensioni grandi e piccole, con i loro nomi scritti su un pezzo di cartone e incollati sopra, la grande vetrina con tutti gli oggetti da barba, quella con gli occhiali, un'altra con le scarpe, quella con tutti i pettini e infine quella con tutti i capelli tagliati ai detenuti del campo. Sono rimasta in quella enorme stanza per molto tempo, ho cercato di leggere tutti i nomi incollati nelle valigie di cartone, ho guardato infine tutti i capelli, trecce lunghe che erano appartenute a donne, ma vi erano anche piccole treccine di bambine. 
Tutta la quotidianità dei prigionieri che erano passati per quei campi era racchiusa in quelle vetrine, la loro vita, parte di se stessi di cui venivano spogliati.
Quanta tristezza, quanto dolore.
La banalità del male, come ha scritto sapientemente Anna Arendt nel suo saggio filosofico, è racchiusa tutta in quei campi e noi abbiamo il triste compito di ricordarlo sempre affinché la storia non si ripeta.
Qualche giorno dopo a casa ho scritto queste brevi righe. Non ho scattato foto mi sembrava di violare quelle anime.
(Le foto le ho prese dal web)







Auschwitz
Una piccola valigia di cartone marrone, logora, incollato, in fondo sul lato destro, un pezzo di carta ingiallito, con scritto a mano, in bella grafia, con inchiostro nero, nome, cognome ed anno di nascita: Helen Berger 1937.
Cerco di immaginarti Helen, bambina dalle trecce scure, dagli occhi castani e le efelidi sul naso. Giochi nel cortile della tua casa con la corda. Dalla finestra la tua mamma ti guarda e ti saluta con un cenno di mano. Ricambi il saluto con un sorriso e continui a saltellare felice.
Spensierata nella tua ignara infanzia.
Indossi una gonna grigia a pieghe che svolazza ad ogni saltello, una camicia bianca ed una giacca di lana cotta grigia bordata di nero. Sul petto la tua mamma ti ha cucito una stella a cinque punte, ne sei orgogliosa, ti fa sentire grande , tutti la indossano, anche te.
Qualcuno ha rubato la tua fanciullezza. Non diventerai una bella signorina che si affaccia sorridente alla finestra per salutare il fidanzato. Non indosserai il velo da sposa. Non urlerai dal dolore partorendo tuo figlio.
Sei  una valigia con un nome.
Sei una treccia tagliata in mezzo a tante.
Sei un vestito raccolto e buttato nel mucchio.
Sei  cenere al vento.


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