Cecilia, appena nata, è stata abbandonata dalla madre nell'orfanotrofio delle giovani orfane
dell'ospedale della Pietà di Venezia.
E' stata accolta dalle suore,
le è stato dato un nome e lasciato una mezza rosa dei venti, l'altra
metà la possiede la madre, nel caso in cui possa avvenire un
ricongiungimento tra loro due, sarà il loro segno di
riconoscimento.
Cecilia
è diversa dalle altre ragazze dell'orfanotrofio, è solitaria, non
parla con le altre, da quando ha compreso che lei stata abbandonata,
il suo cuore non pensa che a quell'abbandono, ne sente costantemente
il dolore ed il peso della solitudine che l'accompagna in ogni
secondo dalle sua giovane vita.
La notte non dorme, scivola leggera
nei corridoi e lungo le scale dell'ospedale. Ha iniziato a scrivere
alla madre, non la conosce, ma la immagina, e stabilisce un rapporto
delicato e doloroso nel contempo con questa madre immaginaria.
In
queste ore notturne, incontra e dialoga con personaggi diversi,
creati dalla solitudine e facilitati dal buio della notte, parla con
la morte, questa signora immaginaria con i capelli pieni di
serpenti. Questo dialogo con la morte le insinua dubbi e
perplessità, ed al tempo stesso l'incoraggia a chiedersi sempre il perché delle cose,
e le fa osservare la realtà in cui vive con occhio critico, di una ragazza che si affaccia alla maturità.
Cecilia è sempre rimasta rinchiusa
in quell'ospedale, senza speranza di poter uscire o di rivedere la
madre, la sua è una vita di solitudine in quella prigione che è
l'orfanotrofio, e di tristezza per la consapevolezza che dovrà
sempre ubbidire e sottostare alla volontà delle suore, nonostante la
giovanissima età, 16 anni, vive come se fosse una donna già vecchia.
Unica
consolazione è la musica, suona il violino e fa parte del Coro, inseme
con le altre sorelle di sventura, e con i loro canti angelici
raccolgono soldi per l'orfanotrofio, ed è l'unico momento in cui può
uscire nel breve tragitto fino alla chiesa.
Ma in quelle ore silenziose e buie non sarà più sola incontrerà...... Non vi svelo altro.
Stabat
mater è un libro delicato, leggero, vibrante come la musica che
pervade tutto il libro. E' una storia di paura, di solitudine di
tristezza, visti attraverso gli occhi di una virginea ragazza che si
affaccia alla vita, che comincia a porsi delle domande, a cui dovrà
dare delle risposte da sola,sa di non potere fare affidamento su nessuno, se non con se stessa.
Certo potrà continuare a vivere lì dentro, o aspettare che
qualcuno la cerchi in sposa, ma dentro il suo cuore nascono domande
diverse, e parlando con l'alter ego, rappresentato dalla morte e
dalla madre sconosciuta, comprende che la vita può essere anche
altrove, non è circoscritta all'insegnamento ricevuto all'interno, bisogna soltanto cercare di abbandonare le paure e la
solitudine del cuore.
Il
filo conduttore del racconto è sicuramente l'introspezione del
personaggio di Cecilia, ma viva e presente è anche la figura della
madre, immaginata, certo, ma è viva in tutte le righe del romanzo.
E'
un libro commovente e coinvolgente che consiglio vivamente di leggere
Tiziano Scarpa, 1963, ha vinto con questo libro ben due premi: Strega nel 2009 e SuperMondello sempre nello stesso anno. Scrive anche poesie, testi per canzoni e opere teatrali. Ama anche cimentarsi nelle letture sceniche ed a partecipato a programmi radiofonici e film.
Maria Lucia Ferlisi