Orfani bianchi di Antonio Manzini



Orfani bianchi
di 
Antonio Manzini
recensione di 
Maria Lucia Ferlisi



Mirta, moldava, lavora in Italia come badante a Roma.
Ha lasciato la sua terra, la povertà e la miseria in cui viveva. Ha lasciato anche il figlio adolescente Ilie che vive con la nonna materna, il padre non sa nemmeno dove sia.
Una vita dura, nonostante la giovane età è già stanca della vita. Il suo lavoro è prendersi cura di tutte quelle persone che pesano alle famiglie,  lei li assiste fino alla loro morte. Poi ancora in cerca di un altra persona da prendere in cura, nell'indifferenza dei familiari, come la signora Mazzanti, morta il giorno di Natale, ma la famiglia non ha rinunciato al pranzo di Natale.

Mirta vive nella miseria degli animi, nell'indifferenza verso gli anziani. Sentimenti sterili circondano la sua vita. Vive con altre donne straniere, in un piccolo appartamento, si ritrovano la sera, ma sono tutte stanche, non si parlano,  la maggior parte di loro lavora per una cooperativa, pochi soldi e tanto lavoro massacrante.

Ha soltanto un amico Pavel, innamorato di lei che sogna di darle una casa e l'amore.
I suoi contatti con il figlio undicenne sono fatti di mail piene d'amore e speranza, di un futuro migliore, anche quando è costretta a metterlo in un orfanotrofio, perché sua madre è morta per lo scoppio della caldaia. 
L'internat è un luogo che raccoglie orfani e figli di madri che lavorano all'estero, non è un bel luogo, ma almeno può mangiare e stare al caldo  e giocare con la play station con i giochi che gli manda.Lei gli scrive tante mail accorate, Ilie non risponde.
La notte dopo, il maglione di Mirta aveva già perso l'odore di Ilie. E lei era a Roma, in una stanza di merda, condivisa con una donna che non avrebbe mai conosciuto....

Con un gesto poco nobile, riesce ad ottenere un lavoro per seguire un'anziana la cui famiglia deve andare in vacanza, la paga è davvero alta. Lei si abbandona ai sogni di una vita migliore..ma....

Un romanzo commovente  sull'esistenza di queste badanti che arrivano nella nostra terra per seguire i familiari e condurli alla certa morte. La loro non è una vita facile, devono lavorare con persone con la demenza senile. Devono pulire sederi, togliere pipì ed escrementi. Devono stare attenti perché la loro pelle è delicata. Guadagnano poco e con quelli devono mantenere i loro  familiari rimasti in paese.

Un odore acre, amaro, avvolgeva tutta la stanza. La vecchia teneva gli occhi spalancati sul soffitto. Le mani lungo il corpo. "no". Mirta si avvicinò. L'odore era sempre più forte. Un misto di muffa, marcio e uova sode. Dovette chiudersi il naso. Corse in bagno mentre la lasagna risaliva l'esofago. Ebbe un conato, ma non rovesciò niente.....

Una vita triste, circondata da sporco e morte, devono combattere contro l'indifferenza dei familiari che sembrano aver dimenticato che quei familiari sono stati il loro padre o la loro madre.

Una storia d'abbandoni, le badanti lasciano gli affetti nei loro paesi d'origine, gli anziani che accudiscono sono stati abbandonati dai loro familiari. Un triste scambio.
L'autore senza falsi pietismi ci conduce in questo mondo poco conosciuto. Pensiamo che il lavoro di queste donne sia facile, senza problemi, ma non è così. 

Un romanzo che non solo punta il dito contro la mancanza di affetti, ma mette in risalto quanto la nostra comunicazione stia diventando sempre più debole, affidiamo le parole ad un asettico computer, la mail è veloce, e non implica nessun sentimento. Fredda, senza calore arriva dall'etere, ma non è abbastanza per rassicurare. 

Un romanzo che ci conduce nel mondo dei tanti orfani bianchi che popolano la Moldavia, bambini e adolescenti che crescono senza amore, senza affetti, soli, abbandonati per anni in un luogo lontano e sperduto del loro territorio, simile ad un carcere.
Un romanzo che fa riflettere attraverso la veritiera penna dello scrittore Antonio Manzini.



Scheda libro
Autore: Antonio Manzini
Titolo: Orfani Bianchi
Casa editrice: Chiarelettere
Pagine: 204

Sinossi
Mirta è una giovane donna moldava trapiantata a Roma in cerca di lavoro. Alle spalle si è lasciata un mondo di miseria e sofferenza, e soprattutto Ilie, il suo bambino, tutto quello che ha di bello e le dà sostegno in questa vita di nuovi sacrifici e umiliazioni. Per primo Nunzio, poi la signora Mazzanti, “che si era spenta una notte di dicembre, sotto Natale, ma la famiglia non aveva rinunciato all’albero ai regali e al panettone”, poi Olivia e adesso Eleonora. Tutte persone vinte dall’esistenza e dagli anni, spesso abbandonate dai loro stessi familiari. Ad accudirle c’è lei, Mirta, che non le conosce ma le accompagna alla morte condividendo con loro un’intimità fatta di cure e piccole attenzioni quotidiane.

Ecco quello che siamo, sembra dirci Manzini in questo romanzo sorprendente e rivelatore con al centro un personaggio femminile di grande forza e bellezza, in lotta contro un destino spietato, il suo, che non le dà tregua, e quello delle persone che deve accudire, sole e votate alla fine. “Nella disperazione siamo uguali” dice Eleonora, ricca e con alle spalle una vita di bellezza, a Mirta, protesa con tutte le energie di cui dispone a costruirsi un futuro di serenità per sé e per il figlio, nell'ultimo, intenso e contraddittorio rapporto fra due donne che, sole e in fondo al barile, finiscono per somigliarsi.
Dagli occhi e dalle parole di Mirta il ritratto di una società che sembra non conoscere più la tenerezza. Una storia contemporanea, commovente e vera, comune a tante famiglie italiane raccontata da Manzini con sapienza narrativa non senza una vena di grottesco e di ironia, quella che già conosciamo, e che riesce a strapparci, anche questa volta, il sorriso.

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