Ippolita Sforza
Ippolita nacque il 18 aprile 1445 da Francesco Sforza, condottiero che diventerà duca di Milano, e da Bianca Maria Visconti, figlia del duca di Milano filippo Maria Visconti.
Fin da fanciulla dimostrò il proprio amore per le lettere e ebbe i migliori maestri di letteratura classica e greco.
Il 10 ottobre 1465 andò in sposa a Alfonso Aragona, duca di Calabria, un matrimonio segnato dalla violenza e attacchi di gelosia del consorte, e dal quale ebbe tre figli.
La sua vita fu pervasa da una profonda religiosità, pregava e digiunava per tutti i voti che prometteva e in onore dei defunti genitori. Portava visita ai prigionieri, donava alimenti ai più poveri, donava soldi ai monasteri e regalava la dote alle ragazze povere.
Morì a Napoli il 19 agosto del 1488, poco prima che il marito diventasse Re di Napoli.
Così viene descritta:
«Bella, biancha, bionda, hebbe occhii venusti, naso un poco aquilino che li dava gratia. Hebbe denti belli, aspecto de grande maiestà. Fu più presto grande che mediocre. Le mane havea belle, come de colore eburneo, cum le dita longhe. Lo aspecto suo fu de grande maiestà, mansueto et gratioso. Fu in eloquio facunda et eloquente. Legea egregiamente cum suavi acenti et resonantia, et intendea, assai mediocremente, latino. [...] Fu de colera dolce. Le sue ire, li suoi sdegni et le sue pace furono sempre cum carità, dolceza et prudentia, per modo era habiuta in singulare amore, timore et reverentia da li populi. Dove rechedea la rasone et il bisogno era familiare, affabilissima et prudente, di che li populi diceano che lei era a loro benigna matre. Havea compassione a quelle misere donne che non se conservavano in pudica fama; le amoniva cum sancto modo. Li rancori et le discordie che infra li suoi sentiva, levava via, reducendoli ad benivolentia et a pace. Fu donna devota; deiunava spesso in pane et in acqua, orava, contemplava [...] vivea sanctamente, como religiosa [...] era elemosinatrice molto [...] auxiliava, in quello potea, de le sue proprie substantie maritare donzelle, et de le persone povere secrete munificava, senza che fusse adimandata, che parea proprio havesse lei provato le miserie de la paupertate [...] se iudicava come sancta fama de le sue illustre opere la pudicitia del suo pecto et la integrità de la mente. [...] Detestava cum angoscia li vitii et specialmente de le inpudiche donne [...] Sapea cum grande modestia cum ogni generatione deportarsi, excepto cum li adulatori, suxeroni et reportatori de mali, li quali fugiva come pestifero morbo»
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