lunedì 7 novembre 2016

Panza e prisenza di Giuseppina Torregrossa

Panza e prisenza di Giuseppina Torregrossa
Marò Paino è una donna poliziotta, che svolge il suo compito in un tranquillo commissariato di quartiere, accanto a lei vi sono il questore Lobianco e Rosario D'Alessandro per gli amici Sasà.
Sono tre persone completamente diverse tra loro ma uniti da una forte amicizia, soprattutto tra il questore e ed il vice commissario Sasà. Marò bellissima quarantenne, è attratta dai due amici, solo che non sa scegliere tra i due, di entrami è attirata dalla loro personalità, ma per non distruggere il bellissimo rapporto di amicizia tra loro, preferisce non scegliere.
Si ritrovano a seguire l'indagine per l'uccisione di un noto e ricco avvocato. Sasà affida l'indagine alla collega Marò, anche perché lui sta seguendo una pista mafiosa.

L'uccisione sembra un pubblico messaggio mafioso, uccidere un avvocato penalista famoso così' in piazza, sa di messaggio rivolto a qualcuno, ma a chi? Si chiede Marò incaricata dell'indagine, la sua prima veramente ed  importante. Il caldo afoso di Palermo rende tutto più difficile. Le indagini sembrano non trovare una via d'uscita, tuttavia per Sasà è un buon motivo per discuterne come lei e recandosi sempre a casa sua Panza e prisenza, come risponde lei ogni volta che le viene chiesto cosa portare per la cena. Sasà è innamorato, ma non vuole dichiararsi per paura di non essere corrisposto, ma anche perché il suo migliore amico, il questore, è innamorato anche lui. 

Questo libro si distingue dagli altri romanzi scritti dall'autrice siciliana, infatti qui abbiamo un giallo in piena regola, con una donna poliziotto che sembra la versione femminile di Montalbano. 
Non lasciatevi fuorviare, la trama è solo un pretesto, alla fine tutto il libro rispecchia gli altri romanzi: La descrizione della Sicilia, quasi come un tour virtuale, i pranzi dettagliati con tanto di ricetta  e sempre  ritroviamo la seduzione, leggera, sottile ma altamente erotica.
E' un libro che ti seduce, che ti ammalia, che ti prende la gola, mentre passeggi con i personaggi all'interno di questa meravigliosa città che è Palermo, dove la mafia è marginale, vi ritroviamo l'ironia, la religiosità, la seduzione, le prelibatezze e i capolavori architettonici racchiusi tutti in questa splendida città, perché Palermo è tutto questo!
Certo non è uno dei soliti romanzi dell'autrice, dove i personaggi sono sicuramente più appassionanti e vibranti, ma vale la pena  leggerlo..o di gustarlo per le sue preziose ricette e per la sua solita bravura!
FLM

Autore: Giuseppina Torregrossa
Editore: Mondadori
pag 189


Sinossi:
Palermo. Un'estate caldissima. E tre poliziotti che più diversi non si potrebbe: il questore Lobianco, severo e forte, Rosario D'Alessandro detto Sasà - amante del cibo e delle donne, affetto da un curioso disturbo della lacrimazione che fa sì che pianga quando si eccita - e Marò Pajno, affascinante e volitiva, relegata in un noioso commissariato di quartiere. I tre sono uniti sin dai primi anni di servizio da un'amicizia più forte di tutto. Tanto che Marò, attratta da entrambi, ha finito per non concedersi a nessuno dei due... Nel medesimo volgere di giorni, Sasà viene incaricato di braccare un boss ricercato da anni e Marò si trova alle prese con un'indagine scottante: chi ha voluto uccidere sulla pubblica piazza uno dei più noti penalisti palermitani? Come se non bastasse, proprio nel momento in cui i due amici avrebbero più bisogno del suo autorevole appoggio, il questore Lobianco sembra preso da altre urgenze. Mentre il caldo avvolge ogni cosa, la barocca festa di Santa Rosalia ricopre le vie della città dei gusci crocchianti dei babbaluci e in riva al mare si levano le preghiere del Ramadan, a Sasà e Marò non resta che ritrovarsi, sera dopo sera, davanti a una tavola imbandita. "Che ti porto?" chiede lui ogni volta, "Panza e prisenza" risponde lei decisa, cioè: solo te stesso e il tuo appetito. Ogni cena una ricetta, preparata da Marò e servita a Sasà in un'atmosfera di speziata ambiguità. Ogni pasto un passo avanti nelle indagini e uno indietro nel gioco di seduzione...

Giuseppina Torregrossa:
Madre di tre figli, vive tra la Sicilia e Roma, dove ha lavorato per più di vent'anni come ginecologa, occupandosi attivamente, tra le altre cose, della prevenzione e cura dei tumori al seno.
Nel 2007 ha pubblicato il suo primo romanzo, L'assaggiatrice e con il monologo teatrale Adele ha vinto nel 2008 il premio opera prima "Donne e teatro" di Roma. Presso Mondadori ha pubblicato Il conto delle minne (2009), tradotto in dieci lingue, e Manna e mieleFerro e fuoco (2011) e Panza e prisenza (2013). Nel 2015 è stata insignita del Premio Baccante.

(https://www.ibs.it/libri/autori/Giuseppina%20Torregrossa)

mercoledì 2 novembre 2016

concorso letterario

Carissimi/e lettori e lettrici, oggi ho il concorso giusto per chi di voi oltre a leggere ama scrivere.
Vi affascina la musica? Da piccoli guardavate lo zecchino d'oro e cantavate "la Peppina fa il caffè" o "44 gatti" o un'altra canzone? Ballavate e cantavate, come me, "fatti mandare dalla mamma" di Gianni Morandi? potrei continuare ma non voglio tenervi troppo sulle corde per questo concorso.
Dovete soltanto ritornare bambini e ricordare le emozioni che vi ha dato la musica. Io ho già un'idea e voi?

 BANDO DI CONCORSO DEL PREMIO LETTERARIO “IL SALMASTRO”

È bandita la 6° edizione del Premio Letterario “IL SALMASTRO” , per un racconto inedito in lingua italiana, sul tema scelto per questa edizione 2017: “MUSICA, MAESTRO! STORIE DI MUSICA E DINTORNI”
La partecipazione è aperta a tutti i cittadini dell'Unione Europea.
Sarà assegnato il seguente premio:
  • Premio “IL SALMASTRO” di euro 1.000,00 complessivo

MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE
Il racconto partecipante dovrà pervenire alla segreteria del Premio entro il 10 marzo 2017.
Per partecipare al concorso si dovrà inviare una mail, senza necessità di alcun testo, alla segreteria del Premio all'indirizzo mail premio2017@ilsalmastro.org riportando in oggetto: Cognome e nome, titolo del racconto allegando quanto sotto indicato:  1 – la scansione del coupon chiaramente e correttamente compilato e firmato (scaricabile con il bando dal sito www.ilsalmastro.org )
2 – il file del testo del racconto, di cui si dovrà riportare esclusivamente il titolo, cioè senza firma alcuna. (Ogni altra indicazione, di qualsiasi genere che non sia il titolo dell’opera, sarà causa di esclusione immediata dal Premio).
3 – l'attestazione del versamento della quota di partecipazione.
La lunghezza del racconto non deve superare le 10 cartelle standard (distribuendo 30 righe a pagina) per un massimo complessivo di 15.000 (quindicimila) battute scritte, con carattere Time new Roman dimensione 12, formato ammesso Pdf (in caso di finalista sarà richiesto il testo in formato doc).
Verrà data conferma del ricevimento del testo partecipante e degli allegati via email.
Si può partecipare con un solo racconto anonimo; l’invio di più racconti è motivo di esclusione dal Premio.
I testi dovranno essere privi di errori di battitura, la presenza di refusi sarà considerata titolo di demerito.
Si concorre inviando un solo racconto inedito in lingua italiana ispirato al tema dell’edizione 2017: “MUSICA, MAESTRO! STORIE DI MUSICA E DINTORNI”
I racconti più lunghi di quanto sopra specificato saranno esclusi.

QUOTA DI PARTECIPAZIONE
La quota di partecipazione al concorso è fissata in euro 20,00 (venti): il pagamento potrà essere effettuato tramite bonifico bancario sul conto corrente intestato ad Associazione culturale Il Circolo del Salmastro IBAN IT 53 V 01005 72240 000000001099

TERMINI E SCADENZE
Il comitato organizzatore si riserva il diritto di prorogare il termine di scadenza dandone notizia nelle forme opportune (sito istituzionale ed altro).

REGOLE E INFORMAZIONI
Il racconto inviato dovrà essere completamente inedito ovvero non pubblicato (in tutto o in parte) né in forma cartacea, né attraverso internet, né radiotrasmesso
Il racconto non deve essere stato premiato né segnalato altrove. Non sarà assegnato, ovvero sarà ritirato (con relativa dichiarazione a mezzo stampa), il premio dell’eventuale vincitore il cui racconto dovesse risultare edito, premiato o segnalato.
Tutti i racconti inviati non saranno restituiti.

lunedì 31 ottobre 2016

Hallowen racconto


Artigli di sangue



Emilia sferrò un calcio all’auto che si era fermata in una strada deserta, proprio di notte. S’incamminò in strada in cerca d’aiuto, scorse un viale che portava all’ingresso di una villa circondata da statue dalla figura spettrale.
Erano dodici statue di donne dalle sembianze sinistre, disposte a cerchio. Provò paura, pensò di tornare indietro, ma ormai era lì, decise di procedere lentamente.
Al centro del cerchio delle statue vide un piedistallo vuoto. Si avvicinò incuriosita, due braccia l’afferrarono immobilizzandola sul piedistallo.
Le statue si animarono, trasformandosi in streghe dai capelli lunghi, le mani ad artigli, gli occhi rosso fuoco. Le arpie sghignazzavano, ridevano stridulamente, emettendo un suono gracchiante come i corvi. Cercò di allontanarsi, ma i suoi piedi erano come incollati al piedistallo, le membra simili al marmo.
Urlò, ma nessuno poteva sentirla.
Comprese che le streghe invocavano qualcuno, ripetendo frasi incomprensibili, il presentimento si trasformò in realtà: davanti a lei apparve una creatura orribile.
Gocce di sudore le imperlavano la fronte, l’urina le bagnò le gambe.
L’essere mostruoso aveva un aspetto animalesco, le mani ed i piedi con artigli, il corpo ricoperto da folta peluria.
Si accostò, con gli artigli la denudò, procurandole delle lacerazioni sul corpo. La leccò con la lingua biforcuta, come i rettili.
Emilia gridò di dolore e raccapriccio.
Capì d’essere l’offerta che le streghe anelavano immolare alla loro divinità.

Sentì gli artigli conficcarsi vicino al cuore, la vita scivolarle via.
Non voleva morire.
Fu l’ultimo pensiero.
Divenne il macabro pasto delle streghe e della loro divinità.
Le streghe sottrassero la vita ad Emilia per riprendere la loro.
Le statue del giardino scomparvero, solo i piedistalli rimasero nel viale.
Qualcuno giura di sentire urla agghiaccianti quando passa vicino alla villa.
Le urla strazianti d’Emilia.


venerdì 28 ottobre 2016

HALLOWEN E LIBRI


La festa di Hallowen trae origini dalle usanze celtiche, irlandesi,  la festa di Samhauni, ovvero festa di fine estate. 
Si narra che il 31 ottobre i morti uscissero dalle loro tombe e vagassero in cerca di un corpo nuovo, per difendersi dai morti ai contadini irlandesi non restava che travestirsi anche loro da esseri orribili, per non creare attrattive tra i morti ed evitare che si impossessassero del corpo. 
Questa festa è stata poi importata in America dagli emigranti irlandesi ed ha assunto un'importanza tale che ha trascinato anche l'Europa nelle celebrazioni di questa festa tutta pagana. Ormai tutti gli anni le zucche e "dolcetti e scherzetti" percorrono le strade e le case non solo americane, ma ormai possiamo definirla una ricorrenza "mondiale".
Per chi vuole approfondire le conoscenze su questa festa consiglio:
  • La Religione degli antichi Celti di J.A. MacCulloch
  • La notte delle zucche  di P. Gulisano e B. O’Neil.

Naturalmente anche la letteratura si è adeguata a questa festa che è strettamente legata alla produzione letteraria di libri horror. 
Visto che mancano pochi giorni ad allestire le nostre case di zucche intagliate, streghe, vampiri, scheletri e pipistrelli, ne approfittiamo per leggere qualche libro legato al tema.
Naturalmente la produzione è vastissima, vi suggerisco quindi alcuni classici, che ho letto da ragazzina e che sono rimasti nel mio cuore:


  1. Il pozzo ed il pendolo di E.A. Poe
  2. Il ritratto di Dorian Gray di O. Wilde
  3. La strage degli innocenti di A. Christie , con il grande Poirot
  4. Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hyde di Stenvenson
  5. Frankstein di M. Shelley
  6. Dracula di B. Stoker





Ma anche autori più recenti come:


  •  S. King ed alcuni suoi titoli: IT, SHINNING, LE NOTTI DI   SALEM...
  • D. Brown: INFERNO
  • A. Rice: INTERVISTA COL VAMPIRO.




La lista è davvero lunga l'interrompo per lasciare lo spazio a voi per qualche suggerimento.
MLF


martedì 25 ottobre 2016

Ketty

All'inizio i miei racconti brevi erano incentrati sul genere horror, rileggendoli sorrido...
Buona lettura, ma solo per chi ha lo stomaco forte!!!




KETTY



Ketty amava definirsi creatura della notte. Era vestita di stracci. Non aveva paura. Viveva nelle fogne di una grande città come Londra.
Era stata abbandonata da piccola da una famiglia povera, con troppe bocche da sfamare.
Aveva imparato a difendersi dai tanti derelitti come lei, e sputare addosso a quanti la guardavano con una smorfia di disgusto per il suo aspetto ripugnante.
Il suo aspetto oltre che ripugnante era sinistro.
Viveva in una baracca fatta di cartoni, dove i suoi migliori compagni erano i topi e gli scarafaggi.

Campava di elemosina, che gli veniva concessa facilmente, proprio per allontanare dai negozi una simile creatura del diavolo.

Ben presto capì che la vera natura del suo animo era di una ferocia inaudita, l’aveva sperimentata con i topi che infestavano la sua baracca.


Con naturale sadismo infilzava gli occhi dei topi, dopo averli appesi vivi ad un asse di legno, che faceva le funzioni di porta, quindi si divertiva a piantare dei chiodi in parti non vitali per assistere alla loro lenta agonia.

I puzzolenti cadaveri dei topi tappezzavano la sua fatiscente porta.

La sua sadica ferocia si estese a tutti gli animali.
Ma ancora non era sazia del sangue che inutilmente versava dei poveri animali. La sua sete assassi9na era appena sbocciata.
Fu così che decise di provare con le persone, odiava con tutte le sue forze il genere umano, soprattutto le donne; ne odiava la bellezza, l’eleganza, i modi gentili.
Le uniche persone che accettava erano i derelitti e i delinquenti come lei.
Tutto il resto del mondo per lei era solo spazzatura, indegna di esistere.

La sua prima vittima fu una donna, la colpii l’eleganza dei lunghi vestiti, i capelli lunghi raccolti con delle spille, ma soprattutto i lineamenti dolci.

Complice la nebbia della città con un coltello puntato sul fianco la trascinò fino alla sua baracca. Le fece togliere gli eleganti vestiti, quindi la legò ad un palo. Le infilò due lunghe asticelle negli occhi: a nulla valsero le suppliche della povera donna, anzi la divertivano, più la supplicava più rideva. Poi la ferì in più parti del corpo e ammirò estasiata il sangue caldo e rosso sgorgare dalle ferite che scivolava a terra formando un piccolo lago di sangue.
L’agonia della donna durò ore, le urla di dolore diventarono sempre più deboli fino ad esalare l’ultimo respiro.

Ne uccise molte altre, sempre ammirando estasiata come la vita lentamente abbandona il corpo.

Avrebbe continuato ad uccidere senza pietà alcuna.

L’ultima vittima, però, si era difesa.
Le aveva dato un morso, nel tentativo di difendersi, che le aveva quasi spolpato un braccio.
Riuscì anche a raccogliere un pezzo di legno appuntito e con tutta la forza della disperazione lo conficcò in un fianco della sua carnefice, provocando uno squarcio da cui il sangue fluiva a fiotti.

Ketty riuscì ugualmente a completare la sua opera.

Solo che stavolta anche la sua vittima poteva godere nel vedere esalare l’ultimo fiato alla sua seviziatrice.
MLF




venerdì 21 ottobre 2016

il piccolo scrivano fiorentino


Ecco per voi uno dei racconti mensili tratto dal libro Cuore


IL PICCOLO SCRIVANO FIORENTINO.
(Racconto mensile)



Faceva la quarta elementare. Era un grazioso fiorentino di dodici anni, nero di capelli e bianco di viso, figliuolo maggiore d’un impiegato delle strade ferrate, il quale, avendo molta famiglia e poco stipendio, viveva nelle strettezze. Suo padre lo amava ed era assai, ed era buono e indulgente con lui: indulgente in tutto fuorchè in quello che toccava la scuola: in questo pretendeva molto e si mostrava severo perchè il figliuolo doveva mettersi in grado di ottener presto un impiego per aiutar la famiglia; e per valer presto qualche cosa [p. 66 modifica]gli bisognava faticar molto in poco tempo. E benchè il ragazzo studiasse, il padre lo esortava sempre a studiare. Era già avanzato negli anni, il padre, e il troppo lavoro l’aveva anche invecchiato prima del tempo. Non di meno, per provvedere ai bisogni della famiglia, oltre al molto lavoro che gl’imponeva il suo impiego, pigliava ancora qua e là dei lavori straordinari di copista, e passava una buona parte della notte a tavolino. Da ultimo aveva preso da una Casa editrice, che pubblicava giornali e libri a dispense, l’incarico di scriver sulle fasce il nome e l’indirizzo degli abbonati, e guadagnava tre lire per ogni cinquecento di quelle strisciole di carta, scritte in caratteri grandi e regolari. 
Ma questo lavoro lo stancava, ed egli se ne lagnava spesso con la famiglia, a desinare. — I miei occhi se ne vanno, — diceva, — questo lavoro di notte mi finisce. — Il figliuolo gli disse un giorno: — Babbo, fammi lavorare in vece tua; tu sai che scrivo come te, tale e quale. — Ma il padre gli rispose: — No figliuolo; tu devi studiare; la tua scuola è una cosa molto più importante delle mie fasce; avrei rimorsi di rubarti un’ora; ti ringrazio, ma non voglio, e non parlarmene più.
Il figliuolo sapeva che con suo padre, in quelle cose, era inutile insistere, e non insistette. Ma ecco che cosa fece. Egli sapeva che a mezzanotte in punto suo padre smetteva di scrivere, e usciva [p. 67 modifica]dal suo stanzino da lavoro per andare nella camera da letto. Qualche volta l’aveva sentito: scoccati i dodici colpi al pendolo, aveva sentito immediatamente il rumore della seggiola smossa e il passo lento di suo padre. Una notte aspettò ch’egli fosse a letto, si vestì piano piano, andò a tentoni nello stanzino, riaccese il lume a petrolio, sedette alla scrivania, dov’era un mucchio di fasce bianche e l’elenco degli indirizzi, e cominciò a scrivere, rifacendo appuntino la scrittura di suo padre. E scriveva di buona voglia, contento, con un po’ di paura, e le fasce s’ammontavano, e tratto tratto egli smetteva la penna per fregarsi le mani, e poi ricominciava con più alacrità, tendendo l’orecchio, e sorrideva. Centosessanta ne scrisse: una lira! Allora si fermò, rimise la penna dove l’aveva presa, spense il lume, e tornò a letto, in punta di piedi.
Quel giorno, a mezzodì, il padre sedette a tavola di buon umore. Non s’era accorto di nulla. Faceva quel lavoro meccanicamente, misurandolo a ore e pensando ad altro, e non contava le fasce scritte che il giorno dopo. Sedette a tavola di buonumore, e battendo una mano sulla spalla al figliuolo: — Eh, Giulio, — disse, — è ancora un buon lavoratore tuo padre, che tu credessi! In due ore ho fatto un buon terzo di lavoro più del solito, ieri sera. La mano è ancora lesta, e gli occhi fanno ancora il loro dovere. — E Giulio, [p. 68 modifica]contento, muto, diceva tra sè: “Povero babbo, oltre al guadagno, io gli dò ancora questa soddisfazione, di credersi ringiovanito. Ebbene, coraggio„.
Incoraggiato dalla buona riuscita, la notte appresso, battute le dodici, su un’altra volta, e al lavoro. E così fece per varie notti. E suo padre non s’accorgeva di nulla. Solo una volta, a cena, uscì in quest’esclamazione: — È strano, quanto petrolio va in questa casa da un po’ di tempo! — Giulio ebbe una scossa; ma il discorso si fermò lì. E il lavoro notturno andò innanzi.
Senonchè, a rompersi così il sonno ogni notte, Giulio non riposava abbastanza, la mattina si levava stanco, e la sera, facendo il lavoro di scuola, stentava a tener gli occhi aperti. Una sera, — per la prima volta in vita sua, — s’addormentò sul quaderno. — Animo! animo! — gli gridò suo padre, battendo le mani, — al lavoro! — Egli si riscosse e si rimise al lavoro. Ma la sera dopo, e i giorni seguenti, fu la cosa medesima, e peggio: sonnecchiava sui libri, si levava più tardi del solito, studiava la lezione alla stracca, pareva svogliato dello studio. Suo padre cominciò a osservarlo, poi a impensierirsi, e in fine a fargli dei rimproveri. Non glie ne aveva mai dovuto fare! — Giulio, — gli disse una mattina, — tu mi ciurli nel manico, tu non sei più quel d’una volta. Non mi va questo. Bada, tutte le speranze della [p. 69 modifica]famiglia riposano su di te. Io son malcontento, capisci! — A questo rimprovero, il primo veramente severo ch’ei ricevesse, il ragazzo si turbò. E “sì, — disse tra sè, — è vero; così non si può continuare; bisogna che l’inganno finisca.„ Ma la sera di quello stesso giorno, a desinare, suo padre uscì a dire con molta allegrezza: — Sapete che in questo mese ho guadagnato trentadue lire di più che nel mese scorso, a far fasce! — e dicendo questo, tirò di sotto alla tavola un cartoccio di dolci, che aveva comprati per festeggiare coi suoi figliuoli il guadagno straordinario, e che tutti accolsero battendo le mani. E allora Giulio riprese animo, e disse in cuor suo: “No, povero babbo, io non cesserò d’ingannarti; io farò degli sforzi più grandi per studiar lungo il giorno; ma continuerò a lavorare di notte per te e per tutti gli altri.„ E il padre soggiunse: — Trentadue lire di più! Son contento... Ma è quello là, — e indicò Giulio, — che mi dà dei dispiaceri. — E Giulio ricevè il rimprovero in silenzio, ricacciando dentro due lagrime che volevano uscire; ma sentendo ad un tempo nel cuore una grande dolcezza.
E seguitò a lavorare di forza. Ma la fatica accumulandosi alla fatica, gli riusciva sempre più difficile di resistervi. La cosa durava da due mesi. Il padre continuava a rimbrottare il figliuolo e a guardarlo con occhio sempre più corrucciato. Un [p. 70 modifica]giorno andò a chiedere informazioni al maestro, e il maestro gli chiese: - Sì, fa, fa, perché ha intelligenza. Ma non ha più la voglia di prima. Sonnecchia, sbadiglia, è distratto. Fa delle composizioni corte, buttate giù in fretta, in cattivo carattere. Oh! potrebbe far molto, ma molto di più. - Quella sera il padre prese il ragazzo in disparte e gli disse parole più gravi di quante ei ne avesse mai intese. - Giulio, tu vedi ch’io lavoro, ch’io mi logoro la vita per la famiglia. Tu non mi assecondi. Tu non hai cuore per me, nè per i tuoi fratelli, nè per tua madre! - Ah no! non lo dire, babbo! - gridò il figliuolo scoppiando in pianto, e aprì la bocca per confessare ogni cosa. Ma suo padre l’interruppe, dicendo: - Tu conosci le condizioni della famiglia; sai se c’è bisogno di buon volere e di sacrifici da parte di tutti. Io stesso, vedi, dovrei raddoppiare il mio lavoro. Io contavo questo mese sopra una gratificazione di cento lire alle strade ferrate, e ho saputo stamani che non avrò nulla! - A quella notizia, Giulio ricacciò dentro subito la confessione che gli stava per fuggire dall’anima, e ripeté risolutamente a sé stesso: - No, babbo, io non ti dirò nulla; io custodirò il segreto per poter lavorare per te; del dolore di cui ti son cagione, ti compenso altrimenti; per la scuola studierò sempre abbastanza da esser promosso; quello che importa è di aiutarti a guadagnar la vita, e di alleggerirti la fatica che t’uccide. - [p. 71 modifica]E tirò avanti, e furono altri due mesi di lavoro di notte e di spossatezza di giorno, di sforzi disperati del figliuolo e di rimproveri amari del padre. Ma il peggio era che questi s’andava via via raffreddando col ragazzo, non gli parlava più che di rado, come se fosse un figliuolo intristito, da cui non restasse più nulla a sperare, e sfuggiva quasi d’incontrare il suo sguardo. E Giulio se n’avvedeva, e ne soffriva, e quando suo padre voltava le spalle, gli mandava un bacio furtivamente, sporgendo il viso, con un sentimento di tenerezza pietosa e triste; e tra per il dolore e per la fatica, dimagrava e scoloriva, e sempre più era costretto a trasandare i suoi studi. E capiva bene che avrebbe dovuto finirla un giorno, e ogni sera si diceva: — Questa notte non mi leverò più; — ma allo scoccare delle dodici, nel momento in cui avrebbe dovuto riaffermare vigorosamente il suo proposito, provava un rimorso, gli pareva, rimanendo a letto, di mancare a un dovere, di rubare una lira a suo padre e alla sua famiglia. E si levava, pensando che una qualche notte suo padre si sarebbe svegliato e l’avrebbe sorpreso, o che pure si sarebbe accorto dell’inganno per caso, contando le fasce due volte; e allora tutto sarebbe finito naturalmente, senza un atto della sua volontà, ch’egli non si sentiva il coraggio di compiere. E così continuava.
Ma una sera, a desinare, il padre pronunciò [p. 72 modifica]una parola che fu decisiva per lui. Sua madre lo guardò, e parendole di vederlo più malandato e più smorto del solito, gli disse: - Giulio, tu sei malato. - E poi, voltandosi al padre, ansiosamente: - Giulio è malato. Guarda com’è pallido! Giulio mio, cosa ti senti? - Il padre gli diede uno sguardo di sfuggita, e disse: - È la cattiva coscienza che fa la cattiva salute. Egli non era così quando era uno scolaro studioso e un figliuolo di cuore. - Ma egli sta male! - esclamò la mamma. - Non me ne importa più! - rispose il padre.
Quella parola fu una coltellata al cuore per il povero ragazzo. Ah! non glie ne importava più. Suo padre che tremava, una volta, solamente a sentirlo tossire! Non l’amava più dunque, non c’era più dubbio ora, egli era morto nel cuore di suo padre... Ah! no, padre mio, - disse tra sé il ragazzo, col cuore stretto dall’angoscia, - ora è finita davvero, io senza il tuo affetto non posso vivere, lo rivoglio intero, ti dirò tutto, non t’ingannerò più, studierò come prima; nasca quel che nasca, purché tu torni a volermi bene, povero padre mio! Oh questa volta son ben sicuro della mia risoluzione!
Ciò non di meno, quella notte si levò ancora, per forza d’abitudine, più che per altro; e quando fu levato, volle andare a salutare, a riveder per qualche minuto, nella quiete della notte, per l’ultima volta, quello stanzino dove aveva tanto la- [p. 73 modifica]vorato segretamente, col cuore pieno di soddisfazione e di tenerezza. E quando si ritrovò al tavolino, col lume acceso, e vide quelle fasce bianche, su cui non avrebbe scritto mai più quei nomi di città e di persone che oramai sapeva a memoria, fu preso da una grande tristezza, e con un atto impetuoso ripigliò la penna, per ricominciare il lavoro consueto. Ma nello stender la mano urtò un libro, e il libro cadde. Il sangue gli diede un tuffo. Se suo padre si svegliava! Certo non l’avrebbe sorpreso a commettere una cattiva azione, egli stesso aveva ben deciso di dirgli tutto; eppure... il sentir quel passo avvicinarsi, nell’oscurità; - l’esser sorpreso a quell’ora, in quel silenzio; - sua madre che si sarebbe svegliata e spaventata, - e il pensar per la prima volta che suo padre avrebbe forse provato un’umiliazione in faccia sua, scoprendo ogni cosa... tutto questo lo atterriva, quasi. Egli tese l’orecchio, col respiro sospeso... Non sentì rumore. Origliò alla serratura dell’uscio che aveva alle spalle: nulla. Tutta la casa dormiva. Suo padre non aveva inteso. Si tranquillò. E ricominciò a scrivere. E le fasce s’ammontavano sulle fasce. Egli sentì il passo cadenzato delle guardie civiche giù nella strada deserta; poi un rumore di carrozza che cessò tutt’a un tratto; poi, dopo un pezzo, lo strepito d’una fila di carri che passavano 
lentamente; poi un silenzio profondo, rotto a quando a quando [p. 74 modifica]dal latrato lontano d’un cane. E scriveva, scriveva. E intanto suo padre era dietro di lui: egli s’era levato udendo cadere il libro, ed era rimasto aspettando il buon punto; lo strepito dei carri aveva coperto il fruscio dei suoi passi e il cigolio leggiero delle imposte dell’uscio; ed era là, - con la sua testa bianca sopra la testina nera di Giulio, - e aveva visto correr la penna sulle fasce, - e in un momento aveva tutto indovinato, tutto ricordato, tutto compreso, e un pentimento disperato, una tenerezza immensa, gli aveva invaso l’anima, e lo teneva inchiodato, soffocato là, dietro al suo bimbo. All’improvviso, Giulio diè un grido acuto, - due braccia convulse gli avevan serrata la testa. - O babbo! babbo, perdonami! perdonami! - gridò, riconoscendo suo padre al pianto. - Tu, perdonami! - rispose il padre, singhiozzando e coprendogli la fronte di baci, - ho capito tutto, so tutto, son io, son io che ti domando perdono, santa creatura mia, vieni, vieni con me! - E lo sospinse, o piuttosto se lo portò al letto di sua madre, svegliata, e glielo gettò tra le braccia e le disse: - Bacia quest’angiolo di figliuolo che da tre mesi non dorme e lavora per me, e io gli contristo il cuore, a lui che ci guadagna il pane! - La madre se lo strinse e se lo tenne sul petto, senza poter raccoglier la voce; poi disse: - A dormire, subito, bambino mio, va’ a dormire, a riposare! [p. 75 modifica]Portalo a letto! — Il padre lo pigliò fra le braccia, lo portò nella sua camera, lo mise a letto, sempre ansando e carezzandolo, e gli accomodò i cuscini e le coperte. — Grazie, babbo, — andava ripetendo il figliuolo, — grazie; ma va a letto tu ora; io sono contento; va a letto, babbo. — Ma suo padre voleva vederlo addormentato, sedette accanto al letto, gli prese la mano e gli disse: — Dormi, dormi figliuol mio! — E Giulio, spossato, s’addormentò finalmente, e dormì molte ore, godendo per la prima volta, dopo vari mesi, d’un sonno tranquillo, rallegrato da sogni ridenti; e quando aprì gli occhi, che splendeva già il sole da un pezzo, sentì prima, e poi si vide accosto al petto, appoggiata sulla sponda del letticciolo, la testa bianca del padre, che aveva passata la notte così, e dormiva ancora, con la fronte contro il suo cuore.

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Lettrice accanita, scrittrice irregolare, gestisco un blog, una pagina ed un gruppo sempre con lo stesso nome: La Lettrice di carta. Amo i personaggi femminili e maschili tormentati, quelli che hanno un passato duro da raccontare, ma da buona lettrice non disdegno altri generi letterari. Non credo che possa esserci un libro brutto, ogni romanzo troverà sempre il suo lettore a cui la storia piacerà. Il mio romanzo preferito: Storia di una capinera di G. Verga.